Nonostante la pervasività e l’ampia diffusione dei dispositivi mediali, oggigiorno la solitudine è un sentimento molto comune. Tutti noi viviamo in un mondo molto più rapido rispetto al passato e, in un certo senso, la sensazione di essere circondati da ogni parte di amici non corrisponde al vero. Anzi, sembra quasi che i dispositivi mediali abbiano anestetizzato i sentimenti positivi e abbiano reso le amicizie quasi inutili alla nostra vista. Da qui, deriva un senso di alienazione, isolamento e, ovviamente, solitudine. Di seguito, diamo un’occhiata a dei recenti film sulla solitudine che esplorano il mondo dell’isolamento e il rapporto che intratteniamo con esso.
Detachment (2011, Tony Kaye)
Il ritorno di Tony Kaye dietro la macchina da presa avviene molti anni dopo American History X. In Detachment, il regista esplora il mondo scolastico e, in modo particolare, si concentra sull’universo di Henry Barthes, professore alienato interpretato da Adrien Brody. Nonostante il lungometraggio racconti la storia di diversi personaggi, è proprio su Henry Barthes che focalizza la propria attenzione. Il professore soffre e si strugge, misurando la propria vita con quella di adolescenti alla ricerca della propria strada e che, ancora, non sanno esprimere le loro attenzioni. Lo stile di Kaye è alienante e contraddittorio e, alla fine, sembra suggerirci una sorta di distacco, in modo tale da poter visionare il nostro mondo da una certa distanza, necessaria per comprendere meglio le cose.
The Forest for the Trees (2003, Maren Ade)
Il debutto alla regia di Maren Ade è avvenuto nei primi anni di diffusione delle riprese in digitale e narra la storia di un’insegnante di scuola che prova ad ambientarsi nella nuova città in cui si è trasferita. La performance di Eva Lobau è davvero straordinaria e restituisce il mare di solitudine in cui il suo personaggio affoga durante gli 82 minuti di durata. Nonostante i suoi autentici pensieri, Melanie (il personaggio protagonista) cerca sempre di essere in forma e di presentarsi in modo accettabile. Alcune volte, però, l’operazione è davvero complessa e restituisce una sensazione di profonda tristezza. Più che un film sulla solitudine, The Forest for the Trees è lo studio della solitudine di una donna, fino all’epilogo catartico e trascendentale. Soltanto alla fine del film, è possibile dire che tutto torna.
Someone, Somewhere (2019, Cedric Klapisch)
Questa fuga parigina segue i percorsi di due personaggi probabilmente connessi tra loro. Francois Civil e Ana Girardot danno vita a un ragazzo e a una ragazza che conducono strade parallele. La domanda è la seguente: i due personaggi riusciranno mai ad incrociare le loro vie? I due sfiorano l’incontro nei cafè, in metro, nei centri commerciali ma non riescono effettivamente a “toccarsi”. Il film di Klapisch non è semplicemente un saggio sulla solitudine quanto un racconto toccante sul rapporto tra due persone. Sono i loro battiti del cuore, la loro felicità e le loro sconfitte a rendere la visione del lungometraggio davvero piacevole e colma di speranza.
Anomalisa (2015, Charlie Kaufman e Duke Johnson)
Probabilmente, Anomalisa è il film definitivo sulla solitudine e, paradossalmente, non è nemmeno un prodotto in live-action. Il progetto, infatti, è stato realizzato in stop-motion dallo sceneggiatore di Michel Gondry ed esplora la tristezza di un uomo di mezza età in viaggio per lavoro. L’approccio in stile Kafka ed il simbolismo spinto dei personaggi animati innalza il titolo su un livello davvero elevato. Il film mostra l’isolamento delle persone nella società e il modo in cui ogni conversazione si può trasformare in un potenziale incubo. Ogni cosa trasuda solitudine: dai pasti in hotel alle discussioni di lavoro, dalla semplice routine quotidiana ai nuovi amori. Sconsigliato per chi non ha voglia di cadere in depressione!
All these Sleepless Nights (2016, Michal Marczak)
Questo film confonde il confine tra realtà e fiction e si afferma come incentrato sui temi relativi alla moderna solitudine. Molti film, ovviamente, hanno fatto la stessa cosa ma Marczak non si limita a combinare suggestioni diverse quanto a dare vita ad una narrazione ibrida che esplora la condizione di due uomini polacchi nel corso di un anno. Una serie di particolari movimenti di macchina crea sensazioni di scoperta davvero singolari, basate su edonismo e ricerca dell’amore. Si tratta, inoltre, di un raro film che racconta la riflessione su sè stessi, eccedendo il campo del coming-of-age per tuffarsi nell’abisso individuale che connota la nostra esperienza vitale.
Her (2013, Spike Jonze)
Probabilmente, Her è il film sulla solitudine più famoso e riconoscibile di questa lista. Il regista ha dato vita ad una serie di atmosfere e scelte estetiche che hanno riprodotto a livello visivo le idee di isolamento, connessione e alienazione, in un mondo in cui Theodore inizia una relazione con un sistema operativo. I due si perdono in conversazioni intime e intrattengono rapporti sessuali mediati dalla tecnologia. Lo spettatore assiste ai su e giù tipici di ogni relazione ma, qui, l’essere umano è uno solo. Jonze esplora il modo in cui umanità e tecnologia coesistono ma, al centro di ogni riflessione, risiede, ancora una volta, la solitudine umana, per la quale il cambiamento è pressochè ignoto. A completare il risultato, si è aggiunta anche la straordinaria performance di Joaquin Phoenix.
Like Someone in Love (2012, Abbas Kiarostami)
Come per qualsiasi film di Kiarostami, anche per questo Like Someone in Love vale la regola ferrea del minimalismo e delle interpretazioni realistiche ed immediate. Il progetto esplora la relazione tra una giovane donna che lavora nell’ambito della sessualità e un’anziana vedova nel corso di diversi giorni. A pagare le conseguenze della solitudine non è soltanto la vedova ma anche la giovane prostituta, impegnata con un ragazzo molto geloso. Quest’ultimo film narrativo di Kiarostami sfrutta una serie di riprese fisse per restituire il senso di alienazione di Tokyo. Probabilmente, si tratta di uno dei migliori titoli della lista sulla moderna solitudine urbana.
Somewhere (2010, Sofia Coppola)
Già Il giardino delle vergini suicide e Lost in Translation, in fin dei conti, erano film sulla solitudine impenetrabile dei loro protagonisti. In modo particolare, in Somewhere, Sofia Coppola racconta la storia di una ragazzina di 11 anni, figlia di una star di Hollywood. Moltissimi critici hanno visto in questa storia una metafora del rapporto tra Sofia e il padre Francis Ford. Comunque sia, la chimica tra Stephen Dorff ed Elle Fanning è davvero notevole e lo stile minimalista non fa altro che accrescere la sensazione di solitudine che si prova alla visione di questo titolo.
Shame (2011, Steve McQueen)
Steve McQueen esplora le profondità della dipendenza sessuale e delle relazioni familiari in questo film sulla solitudine fatto di fantasmi. Nel corso del lungometraggio, vediamo Michael Fassbender affrontare la propria ossessione fino a implodere, insieme al personaggio di sua sorella, interpretato da Carey Mulligan. La performance di Fassbender è straordinaria non soltanto grazie alla sua prestanza fisica. Gran parte del merito, infatti, va ai silenzi, ai suoi sguardi, alle lacrime e alle odissee notturne nelle quali si avventura. Alla fine, probabilmente, per lui sarà impossibile uscire da questo percorso e fuggire dall’isolamento che si è auto-inflitto.
An Elephant Sitting Still (2018, Hu Bo)
An Elephant Sitting Still è il primo e unico film diretto da Hu Bo che, alla fine delle riprese, si è suicidato. La durata di quasi 4 ore ipnotizza lo spettatore e lo trascina in un vortice di oppressione, critica sociale, comportamenti deviati, violenza, delusione e, ovviamente, solitudine. Anche il titolo è paradossale e confusionario e richiama alla memoria le esperienze di Bela Tarr e di Andrei Tarkovsky. Il progetto è davvero un pugno allo stomaco e dimostra che, a volte, separare opera d’arte e artista è davvero impossibile.
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