In un tempo in cui le fake news si sono intensificate all’inverosimile, per cavalcare la crisi del Coronavirus compiendo dei veri atti di sciacallaggio mediatico, anche Facebook ha stretto una salda alleanza con le altri grandi realtà digitali, affinché si riesca a lottare in maniera coordinata contro questa piaga della società. Il colosso digitale è da sempre uno dei più impegnati nella lotta alla disinformazione, nonostante le applicazioni del suo gruppo – la stessa Facebook, Messenger, Instagram e WhatsApp – siano il terreno più fertile in cui vengono piantati i germi delle teorie complottiate e dei ragionamenti di pancia. Com’è nata questa realtà digitale? È sempre stata uguale? Quali sono le persone che l’hanno resa il domicilio comune di tutti i cittadini digitali? Il film da quarantena di oggi li spiega dettagliatamente.
Disponibile nel catalogo Netflix, The social network è uno dei migliori film di David Fincher, curato da Kevin Spacey e interpretato da un Jesse Heisenberg da – quasi – Oscar. Le cifre stilistiche di Fincher e la colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross hanno reso un thriller dal ritmo e dal montaggio hitchcockiano un film da quarantena dai toni sarcastici, quasi strafottenti, come quelli che il Mark Zuckerberg interpretato da Heisenberg scarica come saette contro chiunque gli si metta tra i piedi. Come si evince dal film, la storia di Facebook è infatti più vicina alle denunce per violazione di proprietà intellettuale e pugnalate alle spalle, piuttosto che alle grandi storie di marketing dei colossi commerciali.
Ciò che ha condotto la piattaforma ad essere quella che conosciamo non è nulla di limpido, anzi, è costellata di dettagli torbidi che non rendono onore ai padri fondatori della piattaforma, che mai come in questo film da quarantena vengono precisamente dettagliati per gli uomini fallibili che sono stati. Uno su tutti Eduardo Saverin, prima braccio destro e finanziatore del progetto, poi scaricato non appena Zuckerberg è divenuto manipolabile. The social network aiuta a capire in che modo una semplice idea, se abilmente rielaborata, possa divenire contagiosa quanto una malattia, per poi diventare un vero e proprio status symbol dal quale non riusciremo più a divincolarci. Una storia che segue le stesse dinamiche degli errori commessi dai commentatori feroci della piattaforma, ignari dei pericoli che corrono, perché come cita la tagline del film:
Non arrivi a 500 milioni di amici senza farti qualche nemico.
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