
Dopo i film sulla famiglia tradizionale, sulle minoranze, sull’ambiente, sulle donne e i film motivazionali rimaniamo sempre in ambito tematico e parliamo questa volta di un argomento meno felice e per, certi versi, quasi macabro, da cui il cinema – simulatore della vita per eccellenza – non si è tirato indietro nel mostrare, con una lunga serie di film sulla morte. La morte è l’unica certezza che tutti noi, in quanto esseri mortali, abbiamo nella vita. Nessuno può fuggirvi, nemmeno Ignotus Peverell (Harry Potter) e Dorian Gray (Il ritratto di Dorian Gray) ci sono riusciti. Pertanto svariati film cercano di indagare e di far riflettere su questa esperienza della vita umana, come è insito nell’uomo quando si trova di fronte a qualcosa che non conosce. Tuttavia, nonostante la filosofia, la religione, la spiritualità, la Divina Commedia, Odino, la razionalità e quant’altro abbiano cercato di trovare delle risposte, teorizzare delle possibilità, il mistero della morte rimarrà sempre tale, un mistero appunto. Vediamo un elenco di dieci film che hanno affrontato questa tematica che a molte persone fa ancora paura.
Il settimo sigillo (1957)
La Morte che gioca a scacchi – o a dadi come nel poema The Rime of the Ancient Mariner di S.T. Coleridge – è un’immagine abbastanza comune e piuttosto simbolica. Nel film sulla morte del regista svedese Ingmar Bergman del 1957 il cavaliere Antonius Block, di ritorno dalle crociate, la incontra mentre lo stava aspettando per portarlo con sé nell’aldilà (o qualunque cosa ci sia nel Regno della Morte) e lui decide di sfidarla a scacchi per rimandare la propria dipartita. Lei accetta e da lì iniziano a vedersi una serie di scene piuttosto macabre, dolorose e disarmanti.
Per quanto Antonius non ne sembri troppo turbato, la presenza della Morte ha fatto sì che le altre persone realizzassero la propria caducità e il fatto di non poter scampare a un tale evento, pertanto iniziano a comportarsi in maniera impropria: c’è chi si sottopone a pratiche violente e auto-lesive per espiare i propri peccati per paura di finire all’Inferno, e chi invece insegue gli ultimi piaceri della vita. Il film sulla morte è chiaramente di stampo religioso e, più che voler parlare della morte in sé, di cosa ci attende “dopo”, mostra la reazione dell’uomo di fronte all’Onnipotente e la sua paura nonché disperazione nei confronti della Morte, ponendo un grosso accento sulla questione della Fede. È importante averla? Chi non ha Fede sarà costretto a bruciare nelle fiamme dell’Inferno per l’eternità? O, come dice il Cavaliere:
l’ignoto mi atterrisce e vorrei avere la certezza dell’esistenza di Dio perché se Dio non esiste l’intera esistenza è un vuoto senza fine.
Il binarismo religione/morte è una tematica su cui si potrebbe discutere a lungo e in svariati modi, sicuramente Bergman ci offre una visione molto suggestiva e auto-critica anche se non dà delle vere risposte.
Io prima di te (2016)
Spostandoci su un film sulla morte più recente e conosciuto, il dramma con protagonisti Emilia Clarke e Sam Claflin non parla della Morte in sé e per sé, quanto più di una questione etica discussa molto ancora oggi, ovvero l’eutanasia e se sia giusto metterla in pratica oppure no. Inevitabilmente però è argomento che va a toccare il tema della morte e di come la percepiamo. In alcuni casi parlare di eutanasia risulta scomodo perché l’idea della morte fa paura e pensare che ci sia qualcuno che consapevolmente sceglie questa strada – sapendo di lanciarsi nell’ignoto – è quasi abominevole. Io prima di te è una storia d’amore, ma aldilà di quello si può trarne fuori il dualismo che caratterizza il rapporto fra Louisa Clark e Will Traynor; lei è una ragazza vivace, sempre sorridente e piena di voglia di vivere.
Lui invece è un giovane che, a causa di un incidente che lo ha paralizzato dal collo in giù, ha perso ogni voglia di vivere e vuole andare in Svizzera per porle fine. Nonostante Lou riesca a ricordargli cosa voglia dire essere felice, lui sceglierà la morte perché se c’è una cosa importante che dobbiamo capire è che non possiamo, in nessun caso, scegliere per qualcun altro e costringerlo a vivere quando questi non lo vuole è da egoisti tanto quanto scegliere il suicidio sapendo che qualcuno soffrirà. È in questi casi che la consapevolezza della Morte ci assale più forte che in qualsiasi altra situazione, ma non è una riflessione che si dovrebbe rifuggire perché proprio la riflessione e la consapevolezza della nostra mortalità ci dice che
si vive una volta sola. È tuo dovere sfruttare la vita al massimo.
Proprio Lou, che ama la vita ed è piena di allegria, non ha mai capito la vera essenza e la preziosità della vita. Ma grazie a Will, proprio lui che non apprezza più la vita, scoprirà quanto davvero ci sia da vivere.
L’attimo fuggente (1989)
Il film di Peter Weir con Robin Williams è famoso per l’iconica citazione del poeta latino Orazio, “carpe diem”, pronunciata dal professor John Keating, un insegnante di letteratura piuttosto particolare che evita di usare il classico metodo didattico frontale e preferisce un approccio che stimoli alla condivisione, insegnando ai ragazzi che la poesia non è questione di matematica, di numeri e metrica ma di sentimento dell’uomo. Che cosa ha a che fare questo film con la Morte? A parte la tragica scena del suicidio di un ragazzo a causa degli screzi col padre, il film sulla morte ci fa riflettere su quanto la vita sia breve e su quanto alle volte ci lasciamo sfuggire la magnificenza di quello che ci circonda perché non sappiamo guardare davvero o ci affrettiamo a cercare di raggiungere sempre qualcosa che viene dopo.
Carpe diem, cogliete l’attimo ragazzi, rendete straordinaria la vostra vita.
Keating lo dice a una classe di studenti, giovani ragazzi da cui dipende il futuro del pianeta e che hanno in mano le redini delle proprie vite. “Cogliere la rosa quando è il momento”, approfittare, non lasciare che le occasioni ci sfuggano davanti ai nostri occhi sono tutte riflessioni che ci portano a sbattere contro la consapevolezza che il nostro tempo sulla terra è limitato.
Quattro matrimoni e un funerale (1994)
In questa simpatica commedia romantica all’inglese pare che il tema della Morte sia un po’ fuori luogo, eppure anche da qui ci sovviene un’interessante spunto. Hugh Grant interpreta Charles, un giovane uomo scapolo che, insieme a un gruppo di amici, si ritrova a partecipare a quattro matrimoni – in anni diversi – di svariati amici incontrati nel corso della sua vita. Una felicità che pare toccare a tutti tranne che a lui. Tuttavia, proprio durante uno di questi matrimoni, l’amico Gareth muore a causa di un attacco di cuore.
Al suo funerale, il compagno Matthew recita Blues in Memoria di W.H. Auden e sono proprio questi pochi ma commoventi minuti, in mezzo a tutta una serie di gag e battute divertenti, a portare alla riflessione, non tanto della propria morte quanto quella di una persona amata. La poesia dice che tutto si deve fermare e tutti si devono zittire, le stelle, la luna e il sole si devono spegnere perché non servono più, nulla ci può essere di buono dato che la persona amata è morta e Gareth era tutto per il povero Matthew. Forse, più della nostra morte stessa dipartita, ci fa paura quella delle persone che amiamo. Avere la consapevolezza che non le rivedremo più mette davvero in prospettiva le cose e mette angoscia anche.
Charles realizza ad un certo punto che, nonostante tutti loro si dichiarassero felici di essere single, in realtà nessuno era davvero felice di questa condizione. Tutti loro in qualche modo sono alla costante ricerca di qualcuno con cui condividere la propria vita perché, in fondo, una vita condivisa fa meno paura di fronte alla consapevolezza della propria fine. In questo film sulla morte che gioca sull’opposizione matrimonio vs funerale, quindi sostanzialmente inizio di una nuova vita contro la fine della vita, vediamo quanto noi esseri umani siamo sempre alla costante ricerca di qualcosa e stiamo talmente annegando in questa ricerca da non accorgerci mai che quello che stavamo cercando forse lo abbiamo già trovato. Gareth e Matthew si erano trovati ed erano perfetti ed è per questo che la perdita fa così male.
Il miglio verde (1999)
Si tratta del famoso film sulla morte tratto dal romanzo di Stephen King, con Tom Hanks e Michael Clarke Duncan, che pone l’accento su un’altra importante questione riguardante l’etica, ovvero la pena capitale. La storia si ambienta in un carcere del Louisiana, in particolare nel braccio della morte, dove lavora Paul Edgecombe, che un giorno si vede arrivare in manette John Coffey, un enorme uomo di colore apparentemente ritardato, accusato di aver violentato e ucciso due gemelline. Mentre i giorni proseguono, con i vari prigionieri che vengono giustiziati sulla sedia elettrica, vengono alla luce alcune interessanti e strane scoperte riguardanti il prigioniero che in realtà si sospetta non essere colpevole ma solamente incastrato da qualcun altro e quindi condannato ingiustamente.
Paul non può fare a meno di affezionarsi a John e gli offre la possibilità di scappare, ma John rifiuta perché si accorge di quanta malvagità ci sia attorno a lui, proveniente da altre persone, suoi simili, e dice di essere stanco di vedere quanto male si fanno gli uomini tra di loro e che ciò gli provoca molto dolore. Una scelta, la sua, che ci rimane sotto-pelle e che, in fondo, possiamo capire. È oggettivo il fatto che gli esseri umani siano la peggior specie su questo pianeta.
La sua condanna a morte, alla fine, è stata anche una sorta di liberazione, di sollievo. Ma, la domanda che Paul si pone alla fine del film, è se in realtà quel gigantesco uomo di colore non fosse una qualche sorta di creatura di Dio, venuta a salvare l’umanità ma che ha capito che l’umanità non può essere salvata e lui che ha permesso che venisse uccisa, ora ne sta pagando le conseguenze vedendo tutti i cari attorno a lui, la moglie, il figlio, i colleghi, come punizione divina.
I passi dell’amore (2002)
I passi dell’amore è un film sulla morte tratto dall’omonimo romanzo di Nicholas Sparks che segue le vicende di Landon Carter, un liceale ribelle e popolare che viene costretto a collaborare alla recita scolastica entrando in contatto con Jamie Sullivan, figlia del parroco locale, una ragazza semplice, con una forte fede, generosa ma spesso oggetto di mira dei bulli per il suo carattere e modo di vestire, una ragazza completamente diversa dal genere che piace normalmente a Landon, tuttavia i due si innamorano e Landon si ritrova cambiato in meglio. La ragazza però gli rivela di essere malata di leucemia da due anni e di essere ormai prossima alla fine. Quello che si presenta come un romantico e commovente film adolescenziale dalla trama trita e ritrita, in realtà apre alla riflessione sulla Morte, l’Amore e la Fede.
Certo, a volte è difficile paragonare un film alla vita reale. Nei film le cose appaiono sempre più semplici e più appiattite rispetto a come lo sono nella quotidianità, ma Landon ci insegna che esiste quell’amore puro che sopravvive oltre la Morte e sapere di essere stati amati e di continuare ad essere amati anche dopo che si è lasciata questa Terra è in qualche modo una consolazione. E perché non crederci? L’altra questione è – ancora una volta – quella della Fede e, se c’erano tempi in cui questa non veniva messa in discussione, oggigiorno tante persone “scelgono” di non averla. È più difficile avere Fede che non averla, ma forse è più facile affrontare la vita e andare incontro alla morte sapendo di essere nelle mani di un Dio misericordioso. Dopotutto, la Morte potrebbe essere soltanto un altro viaggio, un altro lungo cammino verso chissà quali mete.
Amabili resti (2009)
Il film sulla morte di Peter Jackson è raccontato dal punto di vista di Susie Salmon, una ragazza di quattordici anni che viene brutalmente uccisa e fatta a pezzi dal suo vicino di casa, George Harvey. Da lì, inizia la storia della protagonista che si ritrova in una specie di limbo fra il mondo terreno e l’aldilà e ha la possibilità di continuare a stare con la propria famiglia e gli amici, osservando le loro vite, senza però poter interagire, trasformandosi così in una spettatrice passiva quindi. Tuttavia non può restare per sempre lì, deve riuscire a superare quella soglia per andare in Paradiso. Ma la ragazza fatica a staccarsi dalla propria famiglia, e soprattutto, vuole vendetta nei confronti del suo assassino.
Quello che interessa in questo film sulla morte, non è tanto lo spirito di Susie o l’esistenza di un aldilà, quanto la storia di coloro che restano, la famiglia e gli amici che devono affrontare l’improvvisa scomparsa di una persona amata. La famiglia Salmon si ritrova distrutta: la madre se ne va di casa per meglio affrontare la morte della figlia, il padre inizia a diffidare di chiunque perché intuisce che Susie è stata assassinata e la sorella si improvvisa detective sospettando subito del vicino di casa. Eventualmente, Susie capisce che è proprio la sua presenza in quel limbo a causare danni alla famiglia che, come lei, non è in grado di accettare la sua morte e non riesce ad andare avanti.
Soltanto quando la ragazza viene a patti con la propria fine e ad abbandonare quel legame ultraterreno con i suoi “amabili resti”, i Salmon si riabbracceranno e impareranno ad andare avanti.
La perdita di un amato è sempre qualcosa di traumatico e tutto sembra perdere di qualsiasi senso, ma bisogna rendersi conto che il mondo continua a girare e, per quanto difficile, le vite di chi resta devono andare avanti.
Il riccio (2009)
Questo film sulla morte francese, che si ispira al romanzo L’eleganza del riccio di Muriel Barbery, segue in parallelo le vite di Renée Michel che, all’apparenza pare essere una semplice portinaia di un facoltoso palazzo parigino in rue Grenelle numero 7 senza particolari doti e dall’aspetto un po’ bruttino, ma che in realtà nasconde un’intelligenza sopraffina e una cultura eccezionale; e quella della dodicenne Paloma Josse, che vive in quel palazzo insieme ai ricchissimi genitori e anche lei ha un QI superiore alla norma, attenta e profonda nell’osservare il mondo e nel capirlo, ma è in perenne lotta con la propria famiglia che lei giudica superficiale e mediocre, caratteristiche che ritrova anche nel resto dell’umanità e per questo decide che il giorno del suo compleanno su suiciderà e darà fuoco all’appartamento per far capire ai genitori quali sono i veri problemi della vita.
Le due pertanto hanno molto in comune e le loro vite arriveranno a incrociarsi in più occasioni. È una storia che ha molto di filosofico, piena di citazioni sagaci e riferimenti letterari originali. Ha che fare con l’esistenza, la superficialità, la società, il mondo dei “ricchi”, delle persone ma anche con la fatalità. Perché al posto di Paloma, sarà Renée a morire aiutando in questo modo la ragazzina a capire qualcosa che prima non era riuscita a capire e a permetterle di liberarsi da quella visione che aveva del mondo. Una morte che funziona in qualche modo da “catarsi” per qualcun altro, estremamente simbolica e fatalistica.
Coco (2017)
Coco è un capolavoro della Disney Pixar, un dolcissimo cartone che affronta il terribile tema della Morte sapendo perfettamente rivolgersi a un pubblico di bambini. Miguel Rivera è un bambino di 12 anni che vive in Messico e sogna di diventare un musicista, cosa che invece non piace molto alla sua famiglia. Dopo averci litigato, Miguel vaga per il cimitero e tutto ad un tratto si ritrova nel Regno dei Morti dove incontra alcuni suoi parenti defunti. Qui si ritroverà in rocambolesche avventure che lo porteranno a scoprire alcuni segreti del suo passato e della sua famiglia. In questo film sulla morte si possono notare diversi elementi della tradizione e del folclore messicani; in alcune culture la Morte non è vista come una nemica o come qualcosa da temere e rimandare il più a lungo possibile, quanto più un altro tipo di viaggio dove i morti aspettano che i vivi un giorno o l’altro li raggiungano.
Ghost (1990)
Un po’ come in Coco e Amabili resti, anche in questo film sulla morte abbiamo a che fare con gli spiriti di coloro che non riescono ad andare “oltre”. E così Patrick Swayze interpreta Sam, un giovane morto ingiustamente una sera mentre tornava dal teatro con la fidanzata Molly, rinuncia a seguire il richiamo di Dio e decide di rimanere a vagare sulla Terra, per scoprire anche il motivo del proprio assassinio. Aldilà della trama poliziesca/thriller, anche qui ci troviamo a confrontarci con la disperazione di coloro che “restano” – Molly – e la possibile esistenza di un aldilà e di un Paradiso. Interessante però sarà anche la comparsa di Oda Mae, la sensitiva che aiuterà Sam e Molly a comunicare e a mettere in chiaro ogni cosa. Poco prima di andare in Paradiso, Sam riuscirà a dire “Ti amo” alla propria ragazza, cosa che non era mai riuscito a dire quando era vivo, – portandoci a riflettere su quanto non bisognerebbe sprecare certe occasioni. Molly, tuttavia, non lo saluterà con un “Addio”, bensì con un “Ciao” perché la Morte non vuole necessariamente dire che non ci si vedrà più.