Il 2017 è stato un anno fondamentale per il mondo del cinema, nonchè una delle stagioni più ricche ed originali degli ultimi tempi. Blade Runner 2049, IT-Capitolo Uno, Logan-The Wolverine, Dunkirk, Wonder Woman e Thor-Ragnarok sono stati soltanto alcuni dei tanti titoli che hanno infiammato critica e botteghini di tutto il mondo. Tuttavia, ad aver focalizzato su di sé un’attenzione pressoché universale è stato un titolo quasi di nicchia e presentato come proiezione del Sundance Film Festival di quell’anno. Prodotto da Blumhouse Productions con soli 4 milioni e mezzo di budget e distribuito in tutto il mondo da Universal Pictures, il film ha lanciato il talento di Jordan Peele, proveniente dal mondo della commedia, ha guadagnato più di 250 milioni di dollari worldwide e ha persino portato a casa il Premio Oscar alla Miglior Sceneggiatura Originale – oltre ad aver ottenuto altre tre nomination nelle categorie principali. Ovviamente, stiamo parlando di Scappa-Get Out. A livello produttivo, il film ha un’importanza capitale.

In primo luogo, rappresenta il perfezionamento totale della formula battuta da Blumhouse da ormai una decina di anni a questa parte: produzione low-cost con un budget non oltre i 5 milioni di dollari, distribuzione mondiale degna di un blockbuster curata da una major e lunghissima tenuta al box-office. In secondo luogo, il film è stato motivo di un case study firmato da Anita Elberse per Harvard Business School ed incentrato sulla formula magica inaugurata da Jason Blum. Sebbene il titolo di Jordan Peele sia stato il primo grande successo per Blumhouse, è innegabile che abbia fatto conoscere al grande pubblico questa casa di produzione basata sulla realizzazione sistematica di film di genere horror.

Inoltre, da non sottovalutare assolutamente è la ricerca condotta da David Ehrlich per IndieWire: Scappa-Get Out è stato uno degli otto film originali (non basati su sequel, spin-off, adattamenti o remake – quindi su proprietà intellettuali pre-esistenti) ad aver vinto almeno un week-end al box-office a partire dal 2017. E, per inciso e a dimostrazione dell’estrema originalità e malleabilità della sua formula, Blumhouse Productions (una compagnia di produzione low-cost) è riuscita ad inserire in classifica ben tre film su otto. A questo punto, concentriamoci sulla figura di Jordan Peele, sull’analisi dei suoi due titoli da regista e su qualche anticipazione relativa a Lovecraft Country, serie di cui Peele ha curato la produzione esecutiva insieme a J.J. Abrams.

Get Out: il debutto di Jordan Peele

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Il 2017 non è stata semplicemente una delle migliori annate cinematografiche che si ricordino ma ha anche segnato un importante record per uno dei generi più sottovalutati: grazie a IT – Capitolo Uno, Split, Annabelle: Creation, Auguri per la tua morte e Scappa-Get Out, il cinema horror ha fatto registrare l’annata più redditizia di sempre per il genere. In modo particolare, il progetto di Jordan Peele si è affermato come uno dei due titoli più redditizi dell’anno – per rapporto tra costi e ricavi -, insieme a Split di M. Night Shyamalan. Il film di Peele racconta il week-end d’amore di Chris Washington e Rose Armitage. Lui è un giovane di colore con la passione per la fotografia; lei è una ragazza bianca che appartiene ad una famiglia estremamente liberale.

Durante il fine-settimana, la coppia si reca in vacanza presso la tenuta degli Armitage. La famiglia – all’oscuro dell’etnia del fidanzato della figlia – accoglie Chris con affetto, dicendogli che, se avesse potuto, avrebbe votato per Barack Obama come Presidente degli Stati Uniti per la terza volta. Fin dal suo arrivo, però, Chris è colpito da una serie di comportamenti strani da parte degli Armitage. Il padre di Rose è neurochirurgo, la madre lavora come ipnoterapista e il figlio sta per laurearsi in Medicina.

Nel corso dei due giorni seguenti, Chris è protagonista di eventi sempre più peculiari, finchè il ragazzo si renderà conto di essere al centro di una vera e propria caccia da parte della perfettamente bianca famiglia. Colpita dall’estrema resistenza e superiorità fisica dei corpi neri, gli Armitage innestano la mente (e l’anima) di persone bianche sulle loro prede di colore, la cui anima recede nel cosiddetto mondo sommerso, da cui può semplicemente guardare senza poter più intervenire sul proprio corpo.

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Soffermandoci sulla struttura di genere del film, è possibile dire che il primo progetto di Jordan Peele presenta gli stilemi dell’home-invasion – che si trasforma in body-invasion – e del cabin in the woods-movie. Fin dalle prime sequenze, la costruzione della partitura visuale si incarica di mettere in luce lo strano percorso che Chris Washington sta per intraprendere. Il giovane protagonista, infatti, si sposta da una moderna abitazione inondata dalla luce ad un luogo isolato, adiacente ad uno specchio lacustre e immerso in una fitta macchia boschiva. Se è vero che le immagini comunicano anche senza che siano necessari dialoghi, è palese quanto la terrible house degli Armitage profetizzi la perturbante evoluzione del racconto.

Fin dall’inizio, Scappa-Get Out è visivamente costruito su un’icona del terrore strettamente legata al bosco: la capanna – travestita, in questo caso, da liberal white civilization. Il titolo di Peele richiama alla memoria anche l’American Gothic anni ’70, in cui il nemico non è il redneck rappresentante della cultura familiare tribale e violentemente patriarcale nè tantomeno un rappresentante della silent majority ma un perfetto elettore di Barack Obama. Insomma, nel singolare torture porn di Peele, i ruoli si invertono e le dinamiche private danno luogo ad un discorso pubblico.

Per quanto riguarda il versante strettamente produttivo e fruitivo, il film è stato distribuito in wide-release e, durante le prime sette settimane di sfruttamento, ha ottenuto una straordinaria perdita negli incassi contenuta tra il 15% e il 30%. La straordinaria tenuta del film è stata consentita da meccanismi di word-of-mouth e da una campagna marketing che ha avuto l’obiettivo di garantire che il film restasse come trend-topic per un lungo intervallo temporale. A differenza di una hit quale IT-Capitolo Uno – che ha avuto una tenuta di 14 settimane al box-office -, il percorso di Scappa-Get Out si è esteso per quattro settimane in più, dimostrando una lunga tenuta e l’eccellente lavoro compiuto da Universal Pictures, al di là del budget striminzito del film.

Noi: il secondo acuto di Jordan Peele

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Noi è arrivato al cinema contando su aspettative massime da parte di pubblico e critica. E, ancora una volta, Jordan Peele è riuscito ad ottenere eccellenti consensi, affermandosi come il regista che ha risuscitato l’horror politico, dopo le scatenate scorribande di George Romero, Wes Craven e Tobe Hooper. Tra l’altro, durante l’intervallo temporale trascorso tra Scappa-Get Out e Noi, Jordan Peele si è anche occupato della produzione di BlacKkKlansman, diretto da Spike Lee e – insieme al suo ultimo Da 5 Bloods – manifesto contemporaneo del Black Lives Matter. Al centro del racconto vi sono ancora corpi neri minacciati di essere colonizzati. Una famiglia all black e middle class si appresta ad andare in vacanza. Giunti a destinazione, i quattro (madre, padre e due figli) sono pronti a vivere al meglio le loro vacanze anche se Adelaide (la madre) inizia ad avere oscuri presagi legati ad un trauma infantile mai del tutto superato.

In effetti, la minaccia si concretizza in piena notte quando, sull’uscio di casa, si presenta una famiglia di doppi decisi ad uccidere i protagonisti. L’incubo psicologico legato al rimosso individuale si evolve, allarga il campo e diventa collettivo, sociale e terribilmente contemporaneo. Nel mondo di Noi (US in originale), i doppi sono americani esclusi dal sistema dominante, mentre i protagonisti non sono altro che neri che provano a vivere come bianchi (in tal senso, una delle prime sequenze in cui la giovane Adelaide indossa una t-shirt con Michael Jackson è davvero emblematica). Ecco che il secondo film da regista di Jordan Peele chiude – capovolgendolo – il cerchio costruito da Scappa-Get Out, in cui erano i bianchi a volersi trasformare in neri. Noi ci costringe a fare i conti con tutto ciò che ci fa paura in noi e negli altri e mette a segno un racconto politico crudelissimo nonostante la superficie fortemente metaforica.

A differenza del suo primo film, Noi riesce ad incutere terrore e dimostra di essere ancora più consapevole dei meccanismi di genere, sebbene le immagini, questa volta, risentano di una struttura verbale a tratti fin troppo opprimente e castrante. Nonostante la sua dimensione esplicitamente metaforica, però, Noi inchioda lo spettatore alla poltrona, si discosta totalmente da film arty quali gli horror prodotti da A24 per dare vita ad un incubo rancoroso, goffo, sotterraneo, para-infernale ed orgogliosamente all-black. Il risultato al botteghino è stato ancora una volta eccellente e, sebbene il film sia costato pochi milioni in più rispetto a Scappa-Get Out, il guadagno ottenuto è stato il medesimo. A differenza del suo primo film, inoltre, il secondo progetto di Peele alla regia è stata un’instant-hit piuttosto che un titolo da lunga tenuta al botteghino.

Ai confini della realtà e Hunters: le serie prodotte da Jordan Peele

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Il 2019 e il 2020 hanno visto il ritorno di Jordan Peele al mondo della serialità. Forte di un successo di pubblico e di critica totale, il regista ha rimesso mano alla serie antologica ideata da Rod Serling nel 1959 con l’obiettivo di portare al grande pubblico il meglio della sci-fi di quegli anni. Ai confini della realtà avrebbe fornito una sorta di libretto di istruzioni su come costruire un progetto televisivo high-concept da cui poi, in seguito, autori quali Charlie Brooker e J.J. Abrams avrebbero tratto la loro fortuna. La serie è stata distribuita su CBS All Access ma ha deluso le aspettative. Nonostante Peele, infatti, si sia affermato come un autore a tutto tondo e a suo agio nel maneggiare il genere puro (l’horror, il thriller e il mystery) e nell’ancorarlo a situazioni contemporanee, questo Ai confini della realtà sembra essere troppo preoccupato di non deludere le aspettative e di affermarsi come un lavoro formalmente ineccepibile. Ciò che manca è la vita e una patina di originalità che, nella copia pedissequa del capostipite, viene meno.

Il tentativo di riscatto è avvenuto con Hunters, originale prodotto e distribuito da Amazon Prime Video. Vagamente ispirato a Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino, la serie prodotta da Jordan Peele e dalla sua Monkeypaw racconta la storia di un eterogeneo gruppo di cacciatori nazisti. I cacciatori hanno scoperto che un cospicuo numero di ufficiali nazisti si nasconde tra le persone comuni, negli Stati Uniti degli anni ’70. Il loro obiettivo è evitare che i nazisti edifichino un nuovo Reich negli USA, assicurarli alla giustizia e ottenere vendetta. Il progetto è spiazzante e in grado di miscelare i più disparati generi e stili. Ovviamente, l’obiettivo della serie non è quello di restituire una rappresentazione naturalistica di quanto avvenuto ma, piuttosto, di dare vita ad un contenitore pop che sappia intrattenere non disdegnando la riflessione. Ancora una volta, Peele si è affermato come alfiere di un racconto politico ma sempre strettamente connesso ad una struttura narrativa di genere.

Lovecraft Country e Candyman: i progetti futuri di Jordan Peele

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Il prossimo Agosto, HBO distribuirà Lovecraft Country, serie prodotta da J.J. Abrams e da Jordan Peele che si afferma chiaramente come un regista la cui seconda parte della carriera è stata interamente dedicata a parlare di questioni razziali con addosso la maschera dell’horror. La serie sembra essere stata scritta appositamente per quest’ultimo periodo ed è basata su Lovecraft Country, romanzo scritto da Matt Ruff che unisce l’horror lovecraftiano con il racconto della vita negli USA delle leggi Jim Crow (emanate tra il 1876 e il 1964 con l’obiettivo di creare e mantenere la segregazione razziale in tutti gli esercizi pubblici). Che H.P. Lovecraft sia tra i più grandi autori di genere di tutti i tempi è palese e altrettanto è l’influenza che lo scrittore ha avuto sulla letteratura mondiale.

Gran parte della produzione di Lovecraft, però, porta il marchio del razzismo e famigerato è il suo scritto in cui l’autore sostiene che gli uomini neri siano l’anello mancante tra la bestia e l’uomo civilizzato. Lovecraft Country – creata da Misha Green e prodotta da Abrams e Peele – parla di questioni razziali. A giudicare dal trailer distribuito da pochi mesi, il racconto è incentrato su un uomo dal passato familiare misterioso che si mette in viaggio alla ricerca del padre scomparso. Per farlo, l’uomo attraversa luoghi pieni di persone razziste e strambe e, molto probabilmente, alla fine impazzirà a tal punto da distruggere la magione familiare. La speranza è che la serie possa evitare atti di revisionismo storico ma che possa raccontare la contemporaneità americana a partire dalle idee illegittime di uno dei suoi maggiori autori.

Infine, il nuovo progetto cinematografico scritto e prodotto da Peele sarà Candyman, remake del classico che, nel 1992, avrebbe consentito al genere slasher di prendere una boccata di ossigeno. Candyman è un personaggio tormentato e nato dalla mente di Clive Barker. Il film sarebbe dovuto uscire al cinema il 12 Giugno 2020 ma è stato rimandato al 24 Settembre a causa della pandemia da Covid-19. Anche questo progetto (almeno l’originale) è strettamente legato a tematiche quali razzismo, degrado urbano e discriminazione.

In attesa di questi ultimi due titoli, non possiamo che sottolineare il carattere sovversivo della produzione di Jordan Peele, abile a sfruttare gli stilemi del genere per capovolgerli. Peele è stato in grado di trattare simboli e smascherare il substrato razzista della loro opera. Senza dubbio, Lovecraft Country sarà la serie dell’anno e, per fare un’affermazione del genere, basta semplicemente dare uno sguardo al trailer, in cui l’unico elemento per discernere l’epoca storica è fornito da abiti e automobili. Per il resto, le scene di violenza negli Stati Uniti di 50 anni fa non si distaccano di molto da quelle che investono la contemporaneità degli USA.

LEGGI ANCHE: Noi – analisi del film di Jordan Peele

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