Nella storia del cinema ci sono numerose testimonianze dell’unione tra la settima arte e il contesto socio-culturale dell’epoca in cui un film è stato prodotto, ma raramente i film sono riusciti a testimoniare questa unione, portando anche innovazione a livello tecnico, come nel cinema sovietico. Il cinema sovietico è molto importante per la storia del cinema, sia per i registi che l’hanno rappresentato sia per il contesto storico in cui si sviluppò. Se parliamo dei registi, dobbiamo lodarne lo stile e la capacità di trasmettere il loro pensiero in immagini. Quando nacque il cinema all’inizio del ‘900 la Russia, o per meglio dire l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, era un Paese di grandi promesse, ma in cui la realtà sociale era tragica e una pervasiva propaganda nascondeva o prometteva ai cittadini tempi migliori.
Nella drammaticità della situazione, l’ambiente artistico era, tuttavia, particolarmente attivo, con gli artisti che si facevano portavoce del popolo. Tra tanti ricordiamo: Vladimir Majaskovkij, considerato il poeta della rivoluzione, e nel cinema sovietico Sergej Ėjzenštejn. Il movimento rivoluzionario che caratterizzò quest’epoca ha portato nell’arte un tumulto, un cambiamento violento. Ancor prima degli artisti sopra citati ci furono altri registi e cineasti che introdussero per primi le tecniche narrative per mostrare la propria realtà, dimostrandosi, allo stesso tempo, artisti a tutto tondo, come Dziga Vertov o Lev Kuleshov, i quali, non solo hanno ripreso la loro realtà, ma hanno anche teorizzato e sperimentato le basi tecniche del cinema. In anni in cui la rabbia e la frustrazione erano le emozioni dominanti, l’arte letteraria, pittorica e soprattutto il cinema hanno saputo rappresentarle.
Il contesto politico influenzò il cinema sovietico
Il cinema sovietico inizia la sua evoluzione con la rappresentazione della realtà, con caratteristiche documentaristiche e con uno scopo politico. Pochi avvenimenti storici del ventesimo secolo, hanno avuto una risonanza così potente come la presa del Palazzo d’Inverno da parte dei bolscevichi, evento che ha riecheggiato per molto tempo anche nel mondo dell’arte. Dal momento in cui assunsero il controllo dello Stato, i bolscevichi compresero immediatamente l’importanza del cinema. Lenin riconobbe pubblicamente la forza dei film affermando: “di tutte le arti, la più importante per noi è il cinema”.
Gli sforzi per servirsi del cinema come uno strumento rivoluzionario però, furono stroncati dallo scoppio della Guerra Civile, durante la quale i registi proseguirono la loro attività utilizzando pezzi di celluloide riciclata, cercando di fare prove con attori e telecamere spesso senza avere la possibilità di riprendere ciò che volevano mostrare al mondo. È dalla seconda metà degli anni ‘20 che ha inizio la vera rivoluzione del cinema sovietico, quando a Kuleshov e Vertov uniscono personaggi del calibro di: Ėjzenštejn, Pudovkin, Dovzhenko, Barnet, Medvedkin, Shub and Kozintsev, che rivoluzionano la forma di quest’arte, anche a livello globale, e riuscendo a unire la politica ad un’estetica d’avanguardia.
In quest’epoca il linguaggio tecnico del cinema viene messo in discussione soprattutto dal punto di vista del montaggio che viene elaborato sia a livello pratico che teorico, in particolar modo, da Sergej Ėjzenštejn. Negli anni ‘30, quando Stalin è al potere, il cinema viene usato specialmente per fare propaganda; è lo stesso Stalin a contribuire commissionando sceneggiature (che non dovevano essere prese alla leggera!). Nonostante in questo periodo il cinema fosse fortemente manipolato e, nonostante, in seguito subì un declino sia a livello di qualità che di quantità, non di meno, ci ha lasciato dei veri capolavori come: Ciapaiev, Vicino al mare più azzurro, Ivan il terribile e La caduta di Berlino.
Il cinema secondo Stalin
Stalin capì fin da subito l’importanza del cinema, sia dal punto di vista propagandistico che artistico, lui stesso, infatti, controllava i film prima di essere distribuiti e ancora prima leggeva le sceneggiature che venivano scritte. Comprese l’importanza di quest’arte perchè paragonava la sua industria con quella di Hollywood e riteneva che le produzioni che venivano fatte nel suo Paese dovevano essere alla pari di quelle americane. Stalin vedeva il cinema come parte integrante dello sviluppo industriale dell’Unione Sovietica, per queste ragioni fondò una scuola di cinema (la prima in tutto il mondo), e mando artisti come Sergej Ėjzenštejn in America per stare al passo con le tecniche e soprattutto essere in grado di produrre film con il suono.
Lo scopo di Stalin, mandando registi importanti in America, era quello di conquistare Hollywood. Lo stesso Ėjzenštejn riuscì a concludere un accordo con la Paramount per cui avrebbe potuto produrre dei film se avesse presentato delle sceneggiature valide ma non venne realizzato alcun film, probabilmente perchè nessuna sceneggiatura era adatta per il pubblico americano. Ėjzenštejn, viste le difficoltà, iniziò con l’aiuto di Diego Rivera la produzione di Que Viva Mexico!, il quale però rimase incompiuta. Tornato dall’America, fu chiesto ad Ėjzenštejn di iniziare a produrre commedie che rispecchiassero lo slogan di Stalin “la vita va molto meglio, la vita è diventata più gioiosa!”, ma il regista rifiutò perchè il genere non rispecchiava né lui né quello che voleva rappresentare. Boris Shumyatsky, responsabile dell’industria cinematografica, considerate le risposte di Ėjzenštejn alle richieste del governo, mise Grigory Alexandrov come regista principale della propaganda e delle produzioni richieste da Stalin.
Anche Alexandrov fu mandato negli Stati Unici per imparare le tecniche e prendere ispirazione dai set cinematografici americani. Durante la sua permanenza a Hollywood, il regista, ebbe la possibilità di essere presente in varie produzioni di musical e di apprendere tecniche che avrebbe poi utilizzato nelle sue opere. Alexandrov, con il film Tutto il mondo ride, aiutò Stalin a dimostrare che la Russia stesse cambiando, soprattutto agli occhi degli Stati Uniti durante la presidenza di Franklin D. Roosevelt. Il film ebbe un grandissimo successo: nell’Unione Sovietica le canzoni del film si cantarono per anni e in America aiutò a mostrare la Russia sotto un’altra luce. Song Helps Us To Build and To Live fun, una delle canzoni del film, fu una hit per 50 anni in Russia, inoltre, Charlie Chaplin incontrò Alexandrov e lo elogiò per il suo lavoro e per aver mostrato un Paese nuovo ed allegro che non fosse più quello descritto da Dostoevsky. Sicuramente Alexandrov portò sul grande schermo la visione di Stalin di una Russia migliore e gioiosa ma quanto di quello fosse realtà è un’altra storia.
L’importanza di Sergej Ėjzenštejn
Sergej Ėjzenštejn fu un rivoluzionario sotto ogni punto di vista, contribuendo, in particolare all’evoluzione di un nuovo cinema basato soprattutto sulla tecnica del montaggio, portando la filosofia marxista ed estetica costruttivista sul grande schermo. Si distingue dagli altri registi per il suo modo di rappresentare i conflitti e le contraddizioni sociali di cui è testimone, con contrasti visivi che rimangono impressi nella memoria. Nei film di Ėjzenštejn non c’è un singolo individuo come protagonista, ma la comunità rappresentata da vari personaggi che interpretano, appunto, l’eroe collettivo. Le persone rappresentate nelle sue opere e il modo con cui vengono mostrate, confermano la forte empatia e lo spessore politico del regista che influenzavano la sua sensibilità estetica.
Ėjzenštejn aveva piena fiducia nel fatto che il cinema potesse rappresentare un pensiero visivo: non solo delle idee e dei concetti ma il processo secondo cui la mente analizza e pensa. La materia prima per il processo di creazione di un pensiero sono le immagini, che secondo il regista dovevano generare sensazioni e non solo mostrare persone o cose. Il motore è in grado di creare un pensiero è il montaggio: il mezzo con cui i frammenti di pellicola vengono uniti per mostrare e concludere il ragionamento. Nonostante le sue opere siano fortemente ideologiche, i film di Ėjzenštejn ci hanno lasciato momenti iconici che sono stati riutilizzati svariate volte, come: la carrozzina sulla scalinata, i volti feriti, le persone in rivolta e il leone di pietra diventato poi simbolo del suo cinema ruggente di rivoluzione sia politica che cinematografica.
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