Ripensate, con occhio critico, alla portata che lo scandalo molestie di fine 2017 ha avuto a livello mondiale; ripensate anche a tutte le volte in cui avete pensato alla meschinità delle accusatrici, o alla rabbia che vi hanno fatto venire gli accusati; ora aggiungete a questi sentimenti eterogenei la componente drammatica degli abusi sulle minoranze, tra cui le donne, gli omosessuali e gli immigrati, nei luoghi di lavoro. Ciò che molto probabilmente ne otterrete a riguardo è un’idea critica più emotiva che razionale, tanto è vasto il confine contraddittorio su cui hanno marciato le numerose accuse, contro magnati del cinema e dell’industria televisiva. Quel che prima o poi doveva accadere è che qualche produttore, a tempo debito, ne facesse un film icona di quest’epoca. Peccato che il miglior prodotto che siano riusciti a confezionare è proprio Bombshell.
Lungi da noi sminuire Bombshell in quanto, a modo suo, riassunto di una vicenda sconvolgente; anzi, la critica è aspra proprio per il trattamento con cui Charles Randolph e Jay Roach si sono approcciati alla questione, scrivendo e dirigendo un film che arrivati ai titoli di coda appare più come un’opera corale di tre vere atomiche bionde della recitazione – Charlize Theron in particolare, trasformatasi alla perfezione, domina la scena come una statua alta trenta metri – che un resoconto drammaticamente all’altezza di ciò che accadde per troppi anni tra le mura di Fox News per mano di Roger Ailes, qui dipinto a tratti e superficialmente rispetto da quanto fatto da Russell Crowe in The loudest voice, serie tv vero punto di riferimento per chi volesse imparare qualcosa sulla vicenda e non solo intrattenersi di fronte ad un buon esercizio di recitazione e di scrittura e nulla più.
Bombshell non rende affatto onore ai lati positivi dello scandalo molestie
I limiti di Bombshell non sono tecnici o artistici, ma riguardano il tone of voice con cui i produttori hanno scelto di raccontare una vicenda che ha fatto da sassolino lanciato dalla cima della montagna. Troviamo tutti i pilastri concettuali che sorreggono le tesi del #MeToo e del Time’s Up, si richiama la capacità collettiva delle donne di sapersi difendere in gruppo, c’è il sistema avverso che ha corrotto le stesse molestate, ma non si riesce mai davvero a calarsi in uno stato d’animo in sintonia con quello delle protagoniste, che prima di essere state schiacciate come esseri umani, lo sono state come donne da un sistema repubblicano e maschilista. Ciò che ha commesso Roger Ailes non trova in Bombshell l’umore giusto con cui essere spiegato, perché conoscendo la vicenda, non si può non notare che il film resta a debita distanza dalla vera drammaticità dei fatti.
Distanza che viene mantenuta in primo luogo con la regia, la fotografia e con la colonna sonora, che sono sì curiose e ben escogitate, ma dai toni troppo pop per calzare a pennello con una storia lunga decenni al cui centro vi sono professioniste legate ad una tirannide che le ha spiate, manipolate e molestate senza via di scampo alcuna. Non sorprende se i premi internazionali hanno del tutto ignorato Bombshell nelle categorie principali, relegandolo all’Oscar al miglior trucco – per altro meritato – nonostante parli di una vicenda che oggi come oggi interessa davvero tutti e che potrebbe fare la fortuna di produttori, registi e attori a qualsiasi manifestazione del settore.
Le tre attrici – che curiosamente hanno a testa quasi lo stesso minutaggio – vengono inserite in una struttura narrativa che ne premia a pieni voti le doti artistiche e la bellezza naturale, sfruttata adeguatamente per ritrarre i pezzi di carne ben mantenuta da esporre durante i palinsesti che voleva la dottrina repubblicana di Ailes e Trump, restituendo comunque uno sguardo limpido sullo stato d’animo che gli abusati tengono chiuso nella gabbia della rabbia, ma che non basta per dare a Bombshell il tono drammatico necessario per essere ricordato come il grande film che ha iniziato a raccontare da vicino il dramma delle molestie, preferendo invece una comunicazione più incalzante, quasi fumettistica, per raccontare al pubblico un’idea di donne forti che fa sì orgoglio alla categoria, ma non aiuta a dovere la politica del #MeToo – semmai ne avesse una.
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Riassunto
L’impegno di Theron, Kidman e Robbie non basta per dare a Bombshell il tono drammatico necessario per essere ricordato come il grande film che ha iniziato a raccontare da vicino il dramma delle molestie, preferendo invece una comunicazione più incalzante, quasi fumettistica, per raccontare al pubblico un’idea di donne forti che fa sì orgoglio alla categoria, ma non aiuta a dovere la politica del #MeToo. I limiti di Bombshell non sono tecnici o artistici, ma riguardano il tone of voice con cui i produttori hanno scelto di raccontare una vicenda. Troviamo tutti i pilastri concettuali che sorreggono le tesi del #MeToo e del Time’s Up, ma non si riesce mai davvero a calarsi in uno stato d’animo in sintonia con quello delle protagoniste, che prima di essere state schiacciate come esseri umani, lo sono state come donne da un sistema repubblicano e maschilista. A conti fatti, il film che aveva l’opportunità di raccontare per primo l’origine dello scandalo molestie perde un’occasione unica, ritraendo la storia con toni pop del tutto inadeguati.