Il 13 di marzo, la NBC ha dichiarato chiuse a tempo indefinito le produzioni di ben trentacinque trasmissioni, in un periodo in cui già Netflix, Disney, Amazon, Apple e CBS hanno preso decisioni drastiche per contenere la diffusione del Coronavirus. Tutto ciò durante una settimana che ha visto non solo il plausibile contagio dello stesso Donald Trump – poi risultato negativo ai test – ma innumerevoli casi di contagio tra le troupe di tutti i progetti di punta. A primo acchito, parrebbe quasi che il Coronavirus abbia paralizzato tutta l’industria cinematografica.

Disneyland ha chiuso, lo sport ha i muscoli freddi, il CinemaCon non è pervenuto e perfino il Festival di Cannes sta valutando di rimandare l’edizione 2020. Questo potrebbe dare l’impressione che Hollywood non intenda contrastare in maniera irresponsabile il Coronavirus, ma i fatti dicono altro: i set collocati ad Atlanta, New York e Los Angeles sono infatti ancora operativi, nonostante tutta l’America stia cominciando a veder capitolare molti cittadini. Noncuranza? Eccesso di zelo? Paura di perdere altri soldi? Probabilmente tutte e tre le ipotesi se non molto di peggio.

Questo accade mentre i dipendenti delle major si trovano oggi più divisi che mai. Da un lato, per molti il Coronavirus significa solo una perdita di soldi, quindi stipendi in meno e ancor più disparità, per altri è invece proprio quello che sappiamo, una minaccia per tutta l’umanità. Il problema per il cinema è strettamente collegato alle misure di contenimento del Coronavirus, perché cozzano contro quelle che sono le regole di base su cui si fonda tutta questa industria, ovvero il lavoro di squadra, che ti costringe a stare a stretto contatto con tutti gli addetti ai lavori, dai truccatori, ai macchinisti, agli attori stessi. Un vero crogiolo per la diffusione del COVID-19.

I produttori esecutivi hanno delle ben consolidate regole e protocolli su come gestire le evenienze sui set, che vanno dagli incidenti alle questioni più economiche e di budget, ma oltre che prevedere delle spese per le ditte di pulizia che si occupino dei set, quel che può riguardare la prevenzione da Coronavirus non è ancora stato ben stabilito. Anzi, in nessun caso ci sono piani di tutela o gestione delle pandemie. Un interno all’industria ha infatti dichiarato a IndieWire:

Stiamo ricevendo dei comunicati inquietantemente piccoli a riguardo del Coroanvirus. Siamo in crisi, non sappiamo come dovremmo gestire decine di persone presenti sullo stesso set.

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In Georgia le cose vanno come al solito. Il Paese è forse il più trafficato per quel che riguarda le produzioni degli streamer e dei grandi studios, per via delle notevoli agevolazioni fiscali garantite dallo Stato. Qui i contagiati accertati si suppone siano trentuno. Bert Brantley, CEO del Georgia Department of Economic Development, la situazione è regolare, come ha dichiarato a WKIA-TV di Atlanta lo scorso 11 marzo:

Se siete mai stati su un set cinematografico, sai quanto sono sempre allertati della sicurezza e salute degli addetti ai lavori. Per questo ci sentiamo molto tranquilli dicendo che i lavori possono continuare nonostante il Coronavirus. Stiamo parlando di set generalmente chiusi, quindi non ci sono assembramenti di folla.

Questo settore si adatta a qualsiasi situazione e contesto, penso che finché tutti prenderanno le dovute precauzioni, cosa che ritengo stia facendo l’industria del cinema, allora tutto potrà andare avanti senza problemi.

Esattamente le parole che stanno facendo terrorizzare chi si sta saggiamente preoccupando del Coronavirus. A Chicago, uno dei membri della crew che sta lavorando alla nuova serie neXt, è risultato positivo al virus ed è comunque ancora al lavoro all’ufficio cinematografico della città. A tal riguardo, un portavoce del Dipartimento degli affari culturali e degli eventi speciali di Chicago ha dichiarato che:

Fino a questo momento tutti i permessi per i lavori cinematografici continuano ad essere rilasciati. Stiamo monitorando da vicino gli sviluppi che riguardano il Coronavirus e condividendo linee guida e le migliori indicazioni sanitarie provenienti dalle autorità federali, dai funzionari statali e locali.

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Una dichiarazione di questo tipo mette in risalto una verità lapalissiana, quella che nessuno studio cinematografico sta veramente mettendo in pratica delle misure anti Coronavirus appropriate e che fino ad ora, le azioni del governo non hanno avuto un grande impatto sulle produzioni cinematografiche. L’11 di marzo, il governatore della California Gavin Newsom ha emesso un’ordinanza che vieta l’assembramento di più di duecentocinquanta persone, il ché va a coprire buona parte dei set, sebbene al momento la maggior parte delle regioni attorno a Los Angeles dove si concentrano le location sono del tutto aperte.

Discorso diverso per le proprietà private cittadine, dove non devono concentrarsi più di cinquanta persone. Misure prese con leggerezza e poca preoccupazione, come hanno dimostrato le dichiarazioni anonime rilasciate a IndieWire dai funzionari di produzione di Los Angeles. Questo lascia da sole le crew, che devono vedersela da sole contro il Coronavirus, ricevendo poche informazioni specifiche dagli aggiornamenti quotidiani e dalle riunioni di lavoro. Tra gli aspetti più discussi c’è il servizio di ristorazione, che viene da sempre identificato come la causa principale di influenza sui set. Ad oggi le crew ne usufruiscono una persona per volta, per evitare che si entri eccessivamente in contatto.

Tutto questo mentre l’ansia continua a crescere anche sui set. Sia a Chicago che nei set hollywoodiani all’estero la gente viene trovata positiva al Coronavirus, con situazioni di importazione ed esportazione del malanno praticamente costanti. Il 12 marzo, per esempio, Amazon avrebbe sospeso la produzione della seconda stagione di Modern love, girata a New York, nello stesso giorno in cui il sindaco della Grande Mela ha dichiarato lo stato di emergenza comunale, poiché lo stato di salute della città è stato compromesso in sole 24 ore. Questo ha mandato in panico gli addetti ai lavori, tra cui alcuni hanno dichiarato che:

La situazione è orribile. Nessuno vorrebbe essere qui, ma ci sentiamo tutti obbligati a restarci.

Panico che si sta via via unendo alla perdita di location delle produzioni, che man mano che il Coronavirus si diffonde in tutto il mondo non riescono a portare a casa tutto il materiale giornaliero necessario per stare in budget. Alcuni location manager, rimasti anonimo, hanno rivelato che si trovano a dover gestire un’enorme lacuna, poiché lo smart working non combacia con l’industria del cinema a causa della trascuratezza nella quale imperversano ora le attrezzature e le scenografie.

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Una situazione che aggiunge stress anche alla parte creativa dell’industria, poiché senza contatto umano o comunque il più diretto possibile, anche i registi non riescono a dare il loro meglio, così come gli attori. Si arriva a fine giornata convinti di non aver affatto messo del proprio meglio in quel che si è fatto, confezionando le riprese necessarie a portarsi avanti, senza però metterci la cura artistica richiesta. In una situazione del genere, più di un impiegato ha riflettuto su quanto stesse accadendo, giungendo alla chiara conclusione che sarebbe meglio per tutti aspettare tempi migliori. Peccato che ciò che frena i produttori dal farlo sia il più antico degli dei: il denaro.

Denaro che però non può appianare tutti problemi, poiché nel caso in cui una troupe si ammala, viene sì salvaguardata dalle assicurazioni sanitarie, che si prendono cura dei pezzi da novanta delle produzioni – come sta accadendo con Tom Hanks in Australia – ma dall’altra parte nessuna assicurazione riesce a sobbarcarsi la spesa causata da un black out totale delle produzioni. Si consideri che per un solo giorno di riprese, tra noleggio delle attrezzature, stipendi, trucco e costruzione dei set, una produzione spende tra i 100 e i 400 mila dollari, senza considerare tutti i vincoli pubblicitari che vanno rispettati.

Se si immagina di dover ricostruire tutto d’accapo una volta finita la pandemia, a tutte le produzioni sballerebbero i massimali, motivo per cui si cerca di fare il più possibile ora che non ci sono leggi federali ferree. Discorso che si fa ancora più complicato sul piano legale, perché nel momento in cui una produzione dovesse impugnare i contratti assicurativi invocando le cause di forza maggiore, potrebbero cozzare contro una battaglia economica che le dissanguerebbe ulteriormente. La via d’uscita c’è, ma non è a disposizione di tutti, come dice l’avvocato Mark Litwak:

L’unica soluzione sarebbe un vincolo di completamento che obbligherebbe l’assicurazione a mettere i soldi mancanti per finire i film e le serie tv, nel caso in cui sopraggiungessero sforamenti di budget o cause di forza maggiore.

A guadagnarci sono solo i progetti di cui in emergenza Coronavirus non si iniziano neppure le riprese, perché sebbene le spese di pre produzione siano sostanziose, risultano minime rispetto alla troncatura dei lavori in corso mentre si diffonde la pandemia. Ciò che però è ovvio per tutti gli addetti ai lavori, è che la macchina di Hollywood non li sta contemplando per metterli al sicuro prima dei soldi che hanno paura di perdere. Come ha detto un produttore, rimasto anonimo:

Le major ci stanno deludendo profondamente, dal punto di vista umano, lasciando che siano gli uffici amministrativi a decidere arbitrariamente quando dovremo chiudere. La parte peggiore è rendersi conto che stiamo aumentando le possibilità di contagio, dovendo però tornare alle nostre case e alle nostre famiglie alla fine di ogni giorno lavorativo.

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