Il Coronavirus è riuscito in men che non si dica a proclamarsi nemico principale della comunità umana globale, con casi registrati in tutto il mondo e governi alle prese con delle misure sanitarie al limite della psicosi. Che siano giustificate dalla gravità del virus o meno, le nuove misure stanno mettendo in ginocchio tutti i settori industriali, tra cui uno dei più redditizi. Il cinema al tempo del Coronavirus non sta reagendo bene, con 2 miliardi di dollari di perdite registrate solo nei primi due mesi del 2020 e un nemico ancora più spaventoso da dover fronteggiare: l’incertezza. Questo perché se l’epidemia ha capacità di giudizio, ha scelto il momento peggiore dell’annata per scagliarsi contro i distributori.
Alcuni tra i più grandi titoli dell’anno erano previsti per il rilascio durante questa finestra annuale e una serie lunghissima di eventi internazionali si trovano ora a dover capire se e come proseguire le manifestazioni. Il CinemaCon di Las Vegas di fine marzo avrebbe portato più di cinquemila partecipanti da ottanta paesi, il Festival di Cannes di metà maggio ne porterebbe quasi duecentomila e il Comic-Con di San Diego di fine luglio pronosticava di averne centotrentacinquemila. Cifre da capogiro che fanno perdere agli organizzatori il contatto con la realtà, a seguito delle dichiarazioni della comunità scientifica, divisa tra chi crede che il picco sia passato e chi ritiene che debba ancora arrivare.
Il Coronavirus è un nemico dichiarato dell’intrattenimento dal vivo, eppure il recente Festival di Berlino ha dimostrato al settore che le cose si possono fare, con l’European Film Market che ha dato dei segni di vita sì infiacchiti, ma notevolmente al di sotto degli effetti preannunciati della psicosi. L’epidemia però non accenna a diminuire – sebbene i casi di guarigione abbiano superato quelli dei decessi sin da subito – con gli esperti che indicano una possibile fine della diffusione tra febbraio e maggio. Arco di tempo che per il mercato cinematografico significa una sola cosa: morte preannunciata. Perché se da una parte le manifestazioni possono comunque proseguire – come intende fare il Festival di Cannes – ciò che non potrà essere rimediato è il buco finanziario degli introiti cinematografici.
Una situazione aggravata sopratutto dalle dinamiche dei contagi, che avvengono a una distanza brevissima tra gli individui, come qualsiasi altra influenza. Grandi colossi digitali come Twitter hanno incoraggiato lo smart working, ma sono misure che un’industria come quella del cinema non può adottare troppo facilmente. È un settore che vive sul campo, vive di esperienze e di trasferte, e col Coronavirus alle calcagna le conseguenze sono solo cancellazioni di uscite e addirittura di riprese, com’è accaduto a Mission Impossible 7 a Venezia e Firenze con Red Notice. Una situazione che potrebbe sì alimentare le produzioni negli studios di Los Angeles – con un aumento del budget della CGI impressionante – ma che ha pur sempre a che fare col lavoro di gruppo.
Le speranze di chi non si da per vinto
L’ultimo posticipo di No time to die ha ulteriormente spostato l’equilibrio dei bilanci economici verso un panorama – si spera – più sereno nella fine dell’anno. I film di Bond hanno da sempre seguito un rituale rilascio in simultanea in tutto il mondo, affinché i proventi fossero immediati, enormi e a brucia pelo, cosa che ad oggi non accadrebbe. Un altro blockbuster che dovrà vedersela col Coronavirus è A quiet place 2, previsto per il rilascio americano il 20 marzo. Le spese di produzione non erano affatto alte e Paramount si aspettava di lanciarlo sul mercato come secondo miglior incasso del 2020. Il rilascio casalingo, francese e italiano sembrano rimanere invariati e farà da test per ulteriori titoli che potrebbero farsi coraggio e uscire nonostante la pandemia.
Discorso differente invece per Mulan, che col Coronavirus dovrà vedersela faccia a faccia. Costato 200 milioni di dollari, il live action ha già perso le tre migliori piazze distributive asiatiche dal rilascio ufficiale di marzo, fattore che non suggerisce un rilascio mondiale in linea coi tempi. Finché le sale cinematografiche continuano a chiudere, però, il rilascio posticipato sembra un’idea sensata e nemmeno dispendiosa, nonostante la tentazione di far qualcosa di incisivo per contrastare il tumore degli introiti sia più forte che mai. Pensandoci bene, l’annullamento dei blockbuster potrebbe addirittura essere un’opportunità per i film meno attesi.
I film meno attesi e le catene hanno una sola possibilità: resistere
Una volta ricevuto l’annuncio di No time to die, Universal si è adoperata affinché DreamWorks Animation rilasciasse sul mercato internazionale Trolls World Tour dal 10 aprile prossimo. Cosa diversa invece per le produzioni indipendenti e specializzate, che sul mercato domestico puntano la maggior parte delle proprie risorse, causandone una vulnerabilità estrema che da una parte li espone al tracollo, dall’altra potrebbe essere l’unica salvezza: senza grandi titoli da distribuire, i cinema – se rimanessero aperti – avrebbero di che riempire i palinsesti. A conti fatti però chi ci rimetterà la fetta più grande degli introiti saranno le catene e le sale indipendenti, che dal Coronavirus trarranno motivi valiti per dichiarare una crisi finanziaria.
Un esempio su come gestire la crisi arriva da Seattle, dove si sono registrati i maggiori casi di Coronavirus, anche con qualche decesso. Tutte le catene, sia nazionali che indipendenti, rimarranno aperte senza alcuna forzatura a chiudere, ben consce del rischio che corrono. I rappresentanti delle grandi catene – che forniscono comunque informazioni anche alle indipendenti – hanno rilasciato indicazioni a tutela dei dipendenti e delle norme igieniche, in conformità con le prevenzioni economiche prese dal governo. Tutto ciò restando comunque alla mercé dei distributori, perché se da una parte i grandi titoli torneranno al cinema, dall’altra causeranno le posticipazioni degli altri titoli previsti nei prossimi mesi. A conti fatti però, l’unica cosa che i cinema possono fare è continuare a resistere.
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