Alla mia piccola Sama (For Sama) è un documentario diretto da Waad al-Kateab e Edward Watts che fa letteralmente aggrovigliare le budella. E non perché sia un pessimo documentario, anzi, ma per la nuda e cruda realtà che esibisce di fronte a uno spettatore inerme e impotente di fronte alle vicende inumane che avvengono davanti alla videocamera di Waad, studentessa di Aleppo che narra la vicenda della guerra civile Siriana, dal 2011 al 2019.
Il documentario – realizzato col patrocinio di Amnesty International e la collaborazione di Medici Senza Frontiere – è stato nominato per quattro categorie ai BAFTA – vincendo poi come miglior documentario – e nella categoria del miglior documentario ai 92esimi Academy Awards. Ha anche portato a casa l’oeil d’or al Festival del cinema di Cannes.
Alla mia piccola Sama: il cinema fatto in casa
Il cinema, partendo coi fratelli Lumière e passando per Georges Méliès e poi Chaplin e Buster Keaton fino ad arrivare ai giorni nostri ha subito un’innovazione straordinaria, usufruendo di complesse e pesanti tecnologie fatte di bobine e nastri, fino ad arrivare alle più piccole e comode videocamere e telecamere del telefono che ci accompagnano perennemente nelle nostre tasche. Siamo molto più abituati a vedere un film – seduti sul divano di casa o sulla poltrona del cinema – dove le inquadrature sono perfette, prese dall’angolazione giusta, le luci regolate, la videocamera perfettamente ferma sul viso del personaggio, magari con effetti speciali fuori dal comune fatti su green screen, musica e voci perfettamente distinguibili.
E il film ce lo godiamo, usciamo dalla sala un po’ commossi o magari divertiti. Però una cosa rimane certa, quel tipo di film è finto. Non tutti si possono permettere questo tipo di produzione, non tutti si possono permettere di fare un casting, di portare in giro l’attrezzatura o scegliere la colonna sonora perfetta. Alla mia piccola Sama è un documentario, pertanto racconta una storia vera, le persone che si vedono sono vere, in carne ed ossa, non sono state interpretate da altri. Il suono delle bombe, anche quello è reale.
Waad al-Kateab riprende tutto dalla sua videocamera portatile e spesso l’inquadratura è imperfetta, sfocata, si muove troppo, l’angolatura è sbagliata, le luci sono troppo forti o troppo deboli. Ma lo è anche la realtà in cui vive, imperfetta, sfocata, dall’angolatura sbagliata. Non c’è il tempo di registrare bene quando si vive in un campo di battaglia, quando si cerca di non morire in una guerra di cui non c’entri nulla. Ed è il modo migliore per farti davvero vivere la storia, per farti sentire l’ansia e convincerti che sei lì dentro anche tu.
Alla mia piccola Sama: le storie che nessuno racconta
Come dicevamo, questo non è un film, ma nemmeno un documentario, classico. La colonna sonora qui diventa le bombe che cadono, l’urlo di disperazione delle madri, i pianti dei bambini, le grida di dolore dei feriti. Gli ospedali sono sempre i primi a saltare in aria quando arriva la guerra civile – quella Siriana contro il regime di Bashar Al-Assad in questo caso – ed è soprattutto questo quello che si vede qui: bambini che cercano di scappare dagli attacchi aerei, alcuni muoiono nell’intento, altri vedono i propri fratelli feriti o fatti saltare in aria, le madri che non vogliono arrendersi alla realtà, famiglie che cercano un’alternativa, anche se quell’alternativa non è meno spaventosa o pericolosa della presente.
Alla mia piccola Sama è una lettera d’amore da parte di una madre alla figlia che le racconta perché ha fatto le scelte che ha fatto, perché le cose sono andate così come sono andate; imbevuto di dolcezza e amarezza allo stesso tempo, amore e malinconia e tragedia. Una città che si svuota, una città fantasma dove gli spiriti vagano disperati tra le macerie. È una storia che i giornali e i telegiornali non raccontano perché in fondo a noi cosa ci interessa dei bambini che muoiono a qualche chilometro di distanza? Eppure lo dobbiamo sapere. È quel tipo di documentario che ti lascia con l’amaro in bocca. Non esci dalla sala discutendo se ti è piaciuto o meno, inventando teorie o altro. Ci esci in silenzio, guardando il pubblico negli occhi e non pensando veramente a niente.
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Riassunto
Alla mia piccola Sama è una lettera d’amore da parte di una madre alla figlia che le racconta perché ha fatto le scelte che ha fatto, perché le cose sono andate così come sono andate; imbevuto di dolcezza e amarezza allo stesso tempo, amore e malinconia e tragedia. Una città che si svuota, una città fantasma dove gli spiriti vagano disperati tra le macerie. È una storia che i giornali e i telegiornali non raccontano perché in fondo a noi cosa ci interessa dei bambini che muoiono a qualche chilometro di distanza? Eppure lo dobbiamo sapere. È quel tipo di documentario che ti lascia con l’amaro in bocca. Non esci dalla sala discutendo se ti è piaciuto o meno, inventando teorie o altro. Ci esci in silenzio, guardando il pubblico negli occhi e non pensando veramente a niente.