La saga di Martin Scorsese “contro” i film Marvel sembrava non concludersi mai, tra brevi estrapolati di interviste e risposte piccate. Sembra però che ora il regista di The Irishman abbia deciso di chiarire meglio il suo pensiero, in un lungo ed interessante articolo pubblicato sul New York Times. Il saggio è intitolato: “Ho detto che i film Marvel non sono cinema. Lasciatemi spiegare“.
Riprendendo le proprie parole, rilasciate alla rivista Empire, Martin Scorsese afferma di essere stato frainteso, e che le sue parole sono state estrapolate dal loro contesto e decontestualizzate, aggiungendo inoltre: “Alcune persone hanno preso l’ultima parte della mia risposta come un insulto, o come una prova del mio odio per Marvel. Se la gente usa le mie parole in questa luce, non posso farci niente”.
Successivamente, il cineasta ribadisce le proprie perplessità riguardo ai film Marvel, confermando che non rientrano nei suoi gusti personali, ma aggiunge che probabilmente, se fosse nato in un’altra epoca e fosse stato giovane in questo periodo, probabilmente sarebbero piaciuti molto anche a lui. Essendo però cresciuto in un altro periodo, afferma:
Ho sviluppato una concezione dei film […] che è più lontana dall’Universo Marvel di quanto noi sulla Terra lo siamo da Alpha Centauri. Per me, per i cineasti che ho imparato ad amare e rispettare […] il cinema era rivelazione – estetica, emotiva e spirituale.
Riguardava i personaggi – la complessità delle persone e la loro natura contraddittoria e talvolta paradossale, […]. Si trattava di affrontare l’imprevisto sullo schermo e nella vita che questo drammatizzava e interpretava, allargando il senso di ciò che era possibile nell’arte. E quella era la chiave per noi: era una forma d’arte.
Scorsese porta anche l’esempio di Alfred Hitchcock, definendolo “il franchise di sé stesso“.
Ogni nuovo film di Hitchcock era un evento. Trovarsi in mezzo alla gente in un vecchio cinema a guardare La finestra sul cortile era un’esperienza straordinaria: un evento creato dalla chimica tra il pubblico ed il film stesso, ed era elettrizzante.
Sorprendentemente, il regista di Shutter Island descrive anche alcuni film di Hitchcock come dei parchi a tema, citando L’altro uomo e Psycho, definendo quest’ultimo “un’esperienza che non dimenticherò mai“. La differenza tra l’Universo Marvel e queste pellicole, però, è sostanziale secondo il cineasta, ed è legata a ben’altro che alla spettacolarità dell’azione.
Sessanta o settanta anni dopo, stiamo ancora guardando questi film e ci meravigliamo di fronte a loro. Ma sono i brividi e gli shock che ancora ci ammaliano? Io non credo. I set di Intrigo internazionale sono sorprendenti, ma non sarebbero altro che una successione dinamiche ed eleganti composizioni e tagli, senza le emozioni dolorose al centro della storia o l’assoluta perdita del personaggio di Cary Grant. Il climax di L’altro uomo è una grande impresa, ma è l’interazione tra i due personaggi principali e la performance profondamente inquietante di Robert Walker che risuonano ancora oggi.
Martin Scorsese parla anche della eccessiva somiglianza tra le pellicole dell’UCM, commentando che, sebbene in essi siano presenti “molti degli elementi che definisco il cinema come io lo conosco“, ciò che manca inevitabilmente è il brivido, il mistero o il genuino pericolo emotivo. In sostanza, sebbene persistano alcune piccole differenze, i film sono progettati per rispondere alle esigenze del pubblico, e dunque non si allontaneranno mai troppo dal seminato.
Questa è la natura dei franchise cinematografici moderni: prodotti di ricerche di mercato, testati appositamente per il pubblico, verificati, modificati, rivisti e rimodificati fino a quando non sono pronti per il consumo.
A questo punto, il regista svela il motivo della propria invettiva, e perchè secondo lui i film prodotti dalla Casa delle Idee sono per lui un problema.
Quindi, potreste chiedervi, qual è il mio problema? […] In molti luoghi di questo Paese e in tutto il mondo, i franchise sono ora la vostra scelta principale se volete vedere qualcosa sul grande schermo. È un momento pericoloso per la cinematografia e oggi abbiamo meno cinema indipendenti che mai. L’equazione è stata capovolta e lo streaming è diventato il metodo di fruizione principale. Tuttavia, non conosco un singolo regista che non vorrebbe creare un film per il grande schermo, da proiettare davanti al pubblico nei cinema.
In aggiunta, vi è la recente esperienza personale dello stesso Martin Scorsese, che arriva a parlare della difficoltosa produzione della sua ultima fatica, The Irishman.
Io sono incluso. E sto parlando da persona che ha appena completato un film per Netflix. Questo, e solo questo, ci ha permesso di realizzare The Irishman […] e per questo sarò sempre grato. Vorrei che il film venisse proiettato nei cinema per un periodo di tempo più lungo? Certo che lo vorrei […] il fatto è che gli schermi nella maggior parte dei multiplex sono affollati da franchise.
Nel lungo trattato si arriva anche a discutere sull’annosa questione che attanaglia il cinema (e non solo) da sempre: l’arte nasce solamente soddisfare il pubblico?
Se state per dire che è semplicemente una questione di domanda e offerta, e di dare alle persone ciò che vogliono, sono in disaccordo. Se alle persone viene dato solo un genere di cose, e viene venduto all’infinito solo quello, ovviamente ne vorranno di più.
Parlando invece dell‘industria cinematografica nel suo complesso, Martin Scorsese ne analizza ed evidenzia i preoccupanti cambiamenti. Il peggiore di tutti, secondo il regista di Toro Scatenato, è la già citata mancanza di rischio, oltre alla decaduta visione dell’artista, che viene sempre più sacrificata sull’altare del guadagno sicuro ed immediato.
Il cambiamento più inquietante è […] la graduale, ma costante eliminazione del rischio. Molti film oggi sono prodotti perfetti e fabbricati per un consumo immediato, sono ben realizzati da team composti da persone di talento. Tuttavia, mancano di qualcosa che è essenziale per il cinema: la visione unificante di un singolo artista. Perché, ovviamente, il singolo artista è il fattore più rischioso di tutti.
Anche il sistema delle major viene coinvolto nel discorso, ricordando come in passato la tensione tra Studios fosse altissima, a causa appunto del rischio di puntare sulla visione del singolo artista. In compenso però, proprio grazie a quel tipo di competizione nascevano film “eroici e visionari“.
Oggi […] in molti nel settore hanno un’assoluta indifferenza verso il concetto di arte e un atteggiamento nei confronti della storia del cinema che è allo stesso tempo sprezzante e proprietario – una combinazione letale.
Si sarebbe dunque creato, ai giorni nostri, una forte dualismo tra intrattenimento audiovisivo e cinema vero e proprio. Essi secondo Martin Scorsese si sovrappongono troppo di rado, portando il dominio finanziario del primo genere a sminuire ed emarginare il secondo.
La chiusura è allo stesso tempo perentoria e malinconica:
Per chi sogna di fare film o ha appena iniziato, la situazione in questo momento è brutale e inospitale per l’arte. E l’atto di scrivere semplicemente queste parole, mi riempie di una terribile tristezza.
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