La mia vita con John F. Donovan è il primo film in lingua inglese di Xavier Dolan, una collaborazione tra Regno Unito e Canada, che percorre alcuni momenti importanti della vita di Rupert Turner – come in un bildungsroman – prima bambino poi giovane adulto mentre persegue il latente desiderio di diventare attore, ispirato dal suo idolo John F. Donovan col quale inizia uno scambio epistolare che durerà cinque anni, suo unico sfogo e via di fuga dal bullismo che subisce a scuola e dal rapporto forte ma un po’ complicato con la madre single.

Dopo la pubblicazione del suo libro, Rupert racconterà alla giornalista Audrey Newhouse di queste lettere, di quanto abbiano significato per lui non solo per la sua carriera ma anche per il suo modo di essere, narrando in parallelo la propria vita e quella di Donovan che in queste lettere gli raccontava delle difficoltà incontrate all’interno del mondo del cinema, di cosa significhi veramente lavorare come attore e dei compromessi che ha dovuto fare e che gli hanno ostacolato la vita, costringendolo a non poter mai essere veramente sincero con sé stesso o con gli altri.

Il film non è stato accolto benissimo dalla critica, anzi, addirittura lo definiscono un “film maledetto” che ha frenato l’ascesa inarrestabile del giovane regista canadese facendolo cadere a picco verso il raggiungimento della vetta hollywoodiana. Tuttavia, anche con tutte le sue imperfezioni, è un film che affascina per il suo saper essere molto introspettivo, anche con quei tagli particolari della videocamera che spesso e volentieri si sofferma sulle espressioni e sugli occhi dei personaggi, che insiste sul silenzio tra una battuta e l’altra, sugli sguardi per farci pensare che ci sono tante cose non dette e che queste sono più importanti di quelle che vengono dette.

La mia vita con John F. Donovan – Bildungsroman

La mia vita con John F. Donovan, CinemaTown.it

Come detto, il film è stato scritto per essere un bildungsroman, le scene ricostruite totalmente in analessi attraverso le parole del narratore protagonista, Rupert, mentre risponde alle domande della giornalista e racconta del suo scambio epistolare col suo idolo dell’infanzia e di quante cose li abbiano accomunati. Il film, dopotutto, è stato ispirato al regista da Lettere a un giovane poeta di Rainer Maria Rilke, nonché da una lettera che Dolan stesso ha scritto da bambino al suo idolo, Leonardo di Caprio, caratterizzando un’altra sua pellicola di auto-referenzialità. Non solo, ma il film potrebbe essere anche un’eco – seppur vaga forse – della stessa vita dell’attore che interpreta Donovan, Kit Harrington, che ha detto di essersi ritrovato molto nei panni del personaggio.

Tuttavia La mia vita con John F. Donovan non è un film di formazione per la mera ricostruzione della storia che segue l’infanzia e la crescita di Rupert, ma anche per le grandi tematiche morali e psicologiche con cui, sia Rupert che Donovan, si ritrovano a dover affrontare, principalmente quelle di autodeterminazione e scoperta della propria identità. John ha trascorso tutta la propria vita negando chi era e chi voleva essere, sempre pretendendo di essere quello che gli altri – il suo pubblico, i suoi fan – volevano che lui fosse solo per non deluderli, per non perderli. Un attore non solo sul set, ma anche nella vita reale. Per fare questo, però, bisogna scendere a compromessi poco piacevoli, mentire a sé stessi ma anche agli altri, guardare negli occhi le persone a cui si tiene sapendo di non essere mai completamente onesti. A comportarsi così, si raggiunge necessariamente un punto di esplosione. Un suggerimento – forse nemmeno troppo vago – da parte di Dolan o di Harington stesso per dirci che la vita di una star non è poi così dorata.

Sono state queste lettere, questi racconti della sua via, a salvare Rupert invece, che era ancora un bambino all’inizio di questi scambi epistolari e ha avuto molto più tempo per capire, per comprendere a quali cose si possono rinunciare e a quali invece no. La propria identità, ad esempio, il proprio io. Anche le relazioni che vediamo piano piano costruirsi in questo film, non solo quella a distanza – e a tratti un po’ mitica – tra Rupert e John, ma anche tra tutte le altre persone che circondano i due personaggi, gli amici, i bulli, le nemesi, i fan, e soprattutto le madri, sia Grace Donovan (Susan Sarandon) che Grace Turner (Natalie Portman). Entrambi i personaggi hanno dei rapporti conflittuali con le loro madri: Grace è una donna alcolizzata e possessiva che sa fare leva sul senso di colpa del figlio, ma lo ama e lo loda nel solo modo che una madre sa fare col proprio figlio; Sam invece fa di tutto per essere una brava madre, ma è costantemente perseguitata dal proprio passato di attrice fallita che ha dovuto rinunciare ai propri sogni – come lo stesso Rupert tende a ricordarglielo – ma fatica a comprendere e instaurare un dialogo col figlio.

Tuttavia, nonostante questo rapporto materno così conflittuale, entrambe le donne rappresentano il “porto sicuro” per i due protagonisti, un rifugio sicuro dove trovare riparo e un pasto caldo quando il mondo là fuori diventa troppo pressante, caotico e oscuro.

Non stupisce quindi che le scene più intense ed emotive – investite anche forse di eccessivo isterismo e melodramma – coinvolgano i dialoghi tra queste due donne con i loro figli. Non è difficile per uno spettatore ritrovarsi in tutti questi elementi di crescita e formazione del film. 

La mia vita con John F. Donovan – un cast d’eccezione

La mia vita con John F. Donovan, CinemaTown.it

Xavier Dolan non ci è andato leggero con la scelta del cast per questo film dalle tante pretese ma dal poco guadagno. A fianco a Kit Harrington, Ben Schnetzer (Rupert grande) e Jacob Trambley (Rupert bambino), troviamo le sopracitate Susan Sarandon e Natalie Portman, e poi Bella Thorne e Jessica Chastain (la cui parte purtroppo è stata tagliata nel film) e Michael Gambon che fa da voce narrante.

La sorpresa viene soprattutto per Kit Harrington che finalmente sveste i panni del suo personaggio topico di Game of Thrones, Jon Snow, e si cimenta in un ruolo del tutto diverso che gli ha permesso di navigare su un copione ricco di  emozioni e lavorare sulle sue espressioni facciali e vocali, e quindi crescere come attore ed esplorare le sfumature dei sentimenti umani di un personaggio in conflitto con sé stesso e il mondo in cui ha scelto di vivere.

La mia vita con John F. Donovan è stato anche un altro bel colpo per il giovane attore Jacob Trambley che con Doctor Sleep e Room si sta già facendo conoscere nel mondo di Hollywood. Trambley ha perfettamente incanalato quelle che sono le caratteristiche di un bimbo alla stregua caccia dei propri sogni, alla ricerca di un proprio spazio in un mondo che non sembra essere fatto per persone speciali come lui.

La mia vita con John F. Donovan – i particolari

La mia vita con John F. Donovan, CinemaTown.it

Come in tutti i film di Dolan, anche in La mia vita con John F. Donovan si gioca sui particolari, le inquadrature di sguardi, di occhi, di bocche, i ritagli che rallentano il ritmo per darci il tempo di empatizzare anche con le scene senza dialoghi, per immergerci nella mente dei personaggi che spesso e volentieri vorrebbero gridare ma si trattengono e quella parte viene quindi lasciata alla cinepresa. Anche se in alcuni casi il montaggio può apparire un po’ raffazzonato, è chiaro che dietro c’è un intento di giocare con le luci e le ombre, le scenografie, l’arredamento di una casa o un locale, persino i cambiamenti atmosferici.

Persino la musica, che perlopiù serve a incalzare il ritmo e ad aggiungere pathos; in molti casi Dolan ha usato canzoni contemporanee, ben conosciute dalla maggior parte del pubblico e qui ha un po’ voluto vincere facile scegliendo le canzoni che possono tranquillamente attirare i giovani che le hanno sicuramente nella playlist del loro telefono. Dopotutto, non è raro che dopo aver ascoltato una canzone in un film, anche se ben conosciuta prima, finisce che riascoltandola quel film in cui l’abbiamo sentita ci ritorna in mente e allora ne parliamo ancora e lo citiamo e magari convinciamo altre persone a vederlo.

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  • Regia
  • Sceneggiatura
  • Fotografia
  • Recitazione
  • Colonna sonora
3.7

Riassunto

La mia vita con John F. Donovan è stato scritto per essere un bildungsroman, le scene ricostruite totalmente in analessi attraverso le parole del narratore protagonista, Rupert, mentre risponde alle domande della giornalista e racconta del suo scambio epistolare col suo idolo dell’infanzia e di quante cose li abbiano accomunati. Come in tutti i film di Dolan, anche in La mia vita con John F. Donovan si gioca sui particolari, le inquadrature di sguardi, di occhi, di bocche, i ritagli che rallentano il ritmo per darci il tempo di empatizzare anche con le scene senza dialoghi, per immergerci nella mente dei personaggi che spesso e volentieri vorrebbero gridare ma si trattengono e quella parte viene quindi lasciata alla cinepresa. Anche se in alcuni casi il montaggio può apparire un po’ raffazzonato, è chiaro che dietro c’è un intento di giocare con le luci e le ombre, le scenografie, l’arredamento di una casa o un locale, persino i cambiamenti atmosferici.

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