
Prendiamo alcuni degli attori più carismatici di Hollywood, diamo loro un copione alquanto bizzarro ed aspettiamo che il film prenda il suo corso, tra zombie, alieni e vicini di casa burberi. È questa una delle prime reazioni che si hanno dopo aver visto I morti non muoiono, film d’apertura del Festival di Cannes 2019. A metà tra un film apocalittico ed una commedia trash, che sembra fare il verso ad Ash vs. The Evil Dead, il film realizzato da Jim Jarmush sembra essere un film leggero, ottimo per occupare un paio d’ore, ma che però nasconde qualcosa di molto più importante, che lo spettatore arriva a capire però solo alla fine della pellicola: zombie che si nutrono di esseri umani ma sono dipendenti dal caffè, altri che cercano connessioni wifi o che scattano selfie, a ripetere tutte le ossessioni che avevano prima del momento della loro morte.
E se fossero stati già morti prima, quando erano ancora vivi? E’ questo l’interrogativo che esplicita il senso del film, pronunciato proprio dall’unica persona che per tutto il film era lo strano, il diverso, cioè l’eremita Bob. Un uomo che non si è conformato alla vita che propinava la società, e che proprio per questo forse è l’unico essere veramente umano in mezzo a quella marmaglia di non morti. I morti non muoiono è un film che può dirci molto su quello che ci circonda, e soprattutto su un fenomeno che negli ultimi anni è diventato fulcro di film, serie tv e videogiochi: gli zombie.
Zombie come metafora della vita
Quella che abbiamo in I morti non muoiono è una visione dello zombie che ricalca dunque quella originale creata da George A. Romero con Zombi- Daw of the Dead, in cui gli zombie invadono un centro commerciale, comportandosi come se fossero ancora vivi. Si tratta di una visione satirica della società, in cui non c’è differenza tra esseri umani veri e propri e creature resuscitate che provano ad assimilare l’energia vitale delle proprie vittime.
Ed è proprio in questa visione dell’essere senz’anima che si inserisce I morti non muoiono. Come nella migliore tragedia qui non ci sono buoni e cattivi, ma solo esseri viventi destinati tutti alla stessa fine: continuare ad esistere, con o senza la propria anima, in una lotta continua che però ha solo una fine possibile, e non è certo quella preferibile per chi l’anima ce l’ha ancora.
Si tratta di una visione che già avevamo visto in La porta sull’estate di Robert Heinlein, racconto in cui la protagonista si trovava in uno stato quasi letargico che la portava ad essere completamente sottomessa ai suoi amici, in cui l’essere zombie non è tanto legato all’essere morti, ma all’essere privati di quello che rende l’essere umano tale: la scelta e la volontà.
L’eccezione nella rappresentazione degli zombie
Da questa tradizione si è però spesso discostata il cinema, che ha spesso ritratto gli zombie come esseri che trascendono tutto ciò che è normale o comune. In Resident Evil, come in Train to Busan, il fenomeno degli zombie è causato da un virus e non da una condizione di morte e ritorno alla vita.
Ultimamente anche Hollywood ha voluto discostarsi dalla tradizione classica, portando in scena serie TV come Santa Clarita Diet, dove la protagonista diventa una zombie a causa di un particolare cibo. Nel suo caso la morte non è affatto evidente: Sheila mantiene l’aspetto di un normale essere umano, tranne che per qualche scena in cui letteralmente “perde pezzi” in modo anche piuttosto comico.
Di cose da dire ce ne sarebbero davvero tante, ma per ora ci limitiamo a ricordarvi una cosa: Chi non ha una propria volontà è condannato ad una vita senza scopo e ad essere schiavo di tutto quello che ci circonda, esattamente come accade in I morti non muoiono.