
Spesso e volentieri ci piace guardare le serie tv (e i film) per distrarci e rilassarci, ma sappiamo bene che i prodotti che la televisione, il cinema o le varie piattaforme di streaming ci offrono sono la rappresentazione della realtà che viviamo, a volte in senso romantico e tenero e altre in senso più crudo e meschino. Dopotutto, ci piace poterci sentire in linea con i personaggi, vedere i nostri sogni, le nostre paure e le nostre sofferenze dipinte nelle loro azioni, un po’ per sentirci meno soli e un po’ per capire meglio noi stessi. Ed è proprio per questo che gli show televisivi, più spesso di quello che ci appare, riecheggiano degli echi della società dalla quale provengono e del pubblico linguistico al quale si rivolgono – caratteristica principale delle serie tv spagnole. Siamo perlopiù abituati ad aver a che fare con le serie tv statunitensi che ci aiutano a capire il funzionamento politico-sociale americano, le sue ingiustizie e i suoi contro-sensi (vedasi Shameless e Grey’s Anatomy che non hanno mai perso occasione di metterci di fronte alle difficoltà delle minoranze e delle classi sociali più basse), oppure quei teen-drama young/adult (Tredici o Atypical) che ci spostano nella tematica più ampia delle problematiche adolescenziali e di crescita personale.
Leggermente diversa è la questione inglese e anche qui la produzione televisiva ce ne offre ben donde. Se magari gli inglesi preferiscono mostrarci show in costume (Downton Abbey, The Crown, Victoria), dal canto loro non si fanno frenare dal mostrarci ogni tipo di minoranza, di genere, etnia o religione. Se gli americani lo fanno andandoci magari con i piedi di piombo e mostrando le minoranze a volte anche a scopo educativo, per mostrarci le ingiustizie a cui sono soggetto, gli inglesi lo fanno senza particolare cognizione di causa. Loro inseriranno personaggi gay, transgender, a-gender, neri, asiatici, indiani perché ci sono anche loro, perché esistono nella nostra realtà anche, e lo faranno senza porci alcun peso, senza volerci mostrare che c’è qualcosa di diverso. E lo fanno anche nelle serie ambientate in secoli ben distanti da noi. Dopotutto, il Regno Unito è il melting pot per eccellenza, la patria delle differenze e dell’accettazione di tali differenze (e confidiamo che continuerà ad esserlo nonostante la Brexit e l’ascesa delle destre meno tolleranti).
Le serie tv spagnole si distinguono totalmente dalle altre europee per tipo di approccio ai problemi che affrontano
La questione italiana è assai diversa, poi, lo vediamo da quelle serie o fiction che ci offre la Rai. O si parla di mafia e malavita, come in Gomorra e Suburra, o di polizieschi/gialli in cui si indagano casi criminali, come Montalbano e Don Matteo o addirittura Provaci ancora Prof.! A meno che invece non si preferisca la comicità semplice e banale dei cinepanettoni di De Sica o le commedie casalinghe alla I Cesaroni, il tutto basato su grossolani stereotipi di cui l’Italia sembra andare piuttosto orgogliosa. Dopotutto, anche questo è un riflesso di quella situazione socio-politica che troppo spesso si prende poco sul serio e non è in grado di esplorare e capire le questioni un po’ più complesse, preferendo buttare tutto sull’ironia e la battuta.
E arriviamo alla Spagna e alle serie tv spagnole che, forse, hanno uno stile del tutto diverso dalle altre tre; grazie a Netflix, anche il paese delle tapas ha avuto la possibilità di mostrare a un pubblico più vasto le proprie capacità in ambito televisivo, e naturalmente non ha mancato di insistere e mostrare anch’essa il trattamento riservato alle minoranze, a modo suo. E, in un paese dove vige il socialismo, guidato dal Partito Socialista Operaio Spagnolo rappresentato da Pedro Sánchez (che ha ottenuto nuovamente la maggioranza dopo le elezioni generali convocate a causa di una crisi di governo), non si può fare a meno di pensare che alcune tematiche affrontate nelle serie tv spagnole non siano un riflesso anche di questa situazione politica così incentrata sull’uguaglianza di tutti i suoi cittadini e sull’accettazione delle diversità. Analizziamo queste tematiche attraverso le tre serie tv spagnole per eccellenza, La casa di carta, Élite e Le ragazze del centralino.
Élite: poveri VS ricchi
Non si può negare che Élite, serie creata da Carlos Montero e Darío Madrona e disponibile fino alla seconda stagione su Netflix, sembri una delle serie tv spagnole fatte apposta per mostrare le differenze tra i ricchi e i poveri e quanto queste differenze possano portare a comportamenti sbagliati e al bullismo. La serie porta questo titolo perché gira attorno alle vite di alcuni adolescenti provenienti dalle famiglie più ricche di Spagna, tra imprenditori, personaggi politici e nobili, che frequentano una scuola privata dove un giorno, grazie a delle borse di studio, arrivano tre ragazzi provenienti invece da famiglia povere, o quantomeno, meno privilegiate e agiate.
La storia si scrive da sé praticamente: i tre ragazzi faranno piuttosto fatica a integrarsi in un ambiente ostile nei loro confronti, visti come i reietti della società, quelli che non meritano rispetto a causa del loro conto in banca e del fatto che non possono permettersi i vestiti di marca. Questa serie ci marcia abbastanza, forse persino troppo in alcuni casi. Ma in un paese che ha fatto delle idee socialiste il suo punto forte è una tematica che non poteva mancare.
Élite: discriminazione religiosa
Siamo tutti rimasti piuttosto male nel vedere il trattamento riservato a Nadia, la ragazza musulmana che frequenta la scuola per ricchi anche lei grazie a una borsa di studio, riguardo al divieto di indossare il velo – richiesto dalla sua cultura e religione – all’interno delle mura della scuola, sia dagli insegnanti che dalla dirigente. Una richiesta che in un qualsiasi paese civile, che rispetta le tradizione e le credenze altrui, non dovrebbe essere nemmeno pensata. Si tratta di un velo dopotutto e non di un burqa.
Se poi pensiamo all’alta percentuale di persone musulmane presenti in Spagna, considerando anche le conquiste arabe nei secoli più antichi, ci fa strano pensarlo. O è una cosa valida solo per la scuola delle élite perché lì hanno delle regole assurde? Certo è che Nadia ha dovuto rinunciare a una parte della sua cultura a lei importante per poter restare in quella scuola a cui comunque tiene perché le offre un alto livello di preparazione.
Élite: la verità sull’HIV
Il sesso e le sue conseguenze stanno diventando sempre meno un tabù, così come anche la tematica delle malattie sessualmente trasmissibili, tra cui anche l’HIV, e le serie tv spagnole si stanno occupando in prima linea del problema. Purtroppo c’è ancora molta gente disinformata sulla questione e, anche quando qualcuno cerca di parlarne nel modo più onesto e corretto possibile, si rischia di incappare in grossolani errori. Lo stereotipo che l’HIV/AIDS sia la malattia dei “froci a cui piace scopare in giro” sta venendo abbattuto sempre di più, ma c’è chi ancora non ne è convinto. Questo forse è uno dei punti forte di questa serie (aldilà del dramma finale):
Marina, ragazza bianca, etero, di buona famiglia, ricca, agiata e privilegiata, viene infettata dal virus dell’HIV da uno dei suoi amanti del passato perché… Be’, perché non è stata attenta, perché un desiderio di insoddisfazione e di ribellione l’ha portata ad avere comportamenti auto-distruttivi. Questo però ci segnala che chiunque può prendersi l’HIV e nessuno è da giudicare in base a ciò.
Non solo: anche se solo in parte, la serie ci spiega bene che cosa comporta l’HIV, che se la persona sieropositiva è in cura ha una carica virale molto bassa e non rischia di infettare l’altro, che può avere una vita sessuale normale e godere comunque di un’aspettativa di vita alta (con le cure disponibili oggi, naturalmente) e, soprattutto, che in caso di gravidanza il nascituro non rischia di prendere l’HIV dalla madre.
L’altra questione collegata a questa è quella dell’outing. Vale la stessa regola per l’omosessualità o la transessualità: fare outing a una persona è sempre sbagliato. Nadia e Samuel forse sono solo dei ragazzini e non conoscono tutte le implicazioni di ciò quando rivelano per sbaglio la sieropositività di Marina, ma il rispetto dell’altra persona implica anche il non rivelare certe questioni, nemmeno alle persone di cui ci si fida. Ciò vuol dire che altri paesi e altre serie non sono in grado di parlarne con altrettanta chiarezza e correttezza? Non necessariamente, ma per ora Élite è la serie che usa la giusta sensibilità per parlarne, senza incappare in stereotipi.
La casa di carta: ridistribuzione della ricchezza
La casa di carta è forse tra le serie tv spagnole quella più conosciuta, e che ha fatto parlare parecchio di sé, che sia piaciuta o no. Ciò che ha sicuramente colpito è stata la tematica trattata e la modalità. La storia è quella di un gruppo di persone con precedenti penali che, guidati da un genio del crimine che ha ideato un piano perfetto per irrompere nella Fábrica Nacional de Moneda y Timbre (ovvero la zecca nazionale spagnola di Madrid), riescono a stampare 2 miliardi e 400 milioni di euro e scappare con il malloppo. Il punto è che di per sé loro non sono dei ladri, non entrano in una banca per rubare, banalmente, dei soldi. La zecca spagnola è dove il denaro viene stampato ed è quello che fanno, stampano del denaro per portarlo via, senza togliere nulla a nessuno.
E non è una cosa banale, sia tra le serie tv spagnole che quelle estere. Aldilà della fantasia della storia e della questione morale/etica, lo show accende alcune discussioni riguardanti le classi sociale e la re-distribuzione della ricchezza, uno dei principali punti di quel socialismo di marxiana memoria. Si ritorna a parlare di poveri versus ricchi. Dopotutto, quante volte abbiamo pensato “ma i soldi sono solo carta stampata, perché non stamparne di più per eliminare la povertà?” Fosse così semplice! Magari è il caso di pensare a una moneta unica mondiale? Per non parlare della canzone che ricorre più volte nel corso degli episodi, Bella Ciao, che noi italiani conosciamo bene, conosciuta come la canzone dei partigiani e ora diventata un po’ l’inno di tutte le rivoluzioni politico-sociali che cantiamo alle manifestazioni contro “le destre oppressori”.
Le ragazze del centralino: femminismo e women-empowerment
Le ragazze del centralino forse è un po’ fuori dal coro essendo la serie femminista fatta per essere tale. Ambientata negli anni Venti, parla di un gruppo di giovani donne che lavorano alla compagnia telefonica di Madrid e nel corso dei vari episodi si trovano a dover affrontare difficoltà personali, problemi sentimentali, mariti violenti e abusivi, situazioni a loro del tutto nuove e sconosciute, come un rapporto saffico/transgender anche. Un chiaro esempio di women empowerment anche, in cui le donne cercano di farsi strada in un mondo dominato dagli uomini, in un’epoca machista dove è difficile, quasi impossibile, essere sé stessi perché il passato era l’epoca dove venivi soffocato molto di più da certi standard della società. Dopotutto, è ancora difficile dare spazio alle donne, specialmente in posizione di potere o in politica.
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