
Il genere horror ha vissuto un’annata di prima classe durante il 2018, con produzioni di alto livello sparse in tutto il mondo. Gli adattamenti di Stephen King sono stati i prodotti che sono andati per la maggiore, con una tradizione consolidata sin dal 2017, e Netflix si è lanciata in prima linea nella creazione di contenuti originali di questo genere spesso considerato di nicchia, ma che coinvolge fan di tutti i generi. Il reboot di Sabrina e Hill House l’hanno fatta da padroni nel palinsesto dei mesi finali dell’anno, con utenti per lo più entusiasti di quanto fatto dal colosso dello streaming. Un background produttivo e di successo che apriva la strada a un potenziale creativo pressoché illimitato – come piace pensare a Netflix – finché la casa produttrice di contenuti originali non ha acquisito i diritti del romanzo Bird Box, edito nel 2014, di Josh Malerman.
Per il progetto – inizialmente della Universal con Muschietti alla regia – Netflix blinda Sandra Bullock, Sarah Paulson, Tom Hollander e John Malkovich nei ruoli principali, assolda la regista danese Susanne Bier e affida la sceneggiatura niente di meno che a Eric Heisserer – già autore di capolavori noir e dark come Arrival e Hours – nomi che hanno reso Bird Box un progetto gigantesco e fatto ad hoc ancora prima dell’inizio delle riprese. Che fosse una scommessa o un investimento fatto con coscienza, preannunciando il successo che il film avrebbe avuto, Netflix è riuscito a creare un film che non solo può tenere testa a qualsiasi grande uscita al cinema del 2018, è di fatto il più grande successo della piattaforma di sempre, con più di 45 milioni di utenti che lo hanno guardato solo nella prima settimana. Segreto del successo – forse – non è solo il genere horror, fortunatissimo quest’anno, è sopratutto la cura con cui Bird Box è stato creato.
Bird Box è un racconto anticonvenzionale per gli standard Netflix
Complice un team di addetti ai lavori composto da veterani e non solo da giovani cineasti in erba, Bird Box è il miglior blockbuster Netflix di sempre. La natura anticonvenzionale del film non è solo l’idea drammatica in sé – che al solo pensarci è tanto semplice quanto inquietante – ma è la qualità di quest’ultima. Siamo da sempre abituati a vedere Netflix dare ampio spazio alle idee più disparate, affinché ogni cineasta che abbia davvero la capacità di raccontare qualcosa di diverso possa farlo, ma mai come in questo caso – eccezione forse gli script più raffinati basati sui romanzi di King come 1922 – il soggetto del film era di un livello diverso dal solito horror apocalittico al quale siamo abituati.
Bird Box è un’allegoria della società che non vogliamo vedere per non soffrire
La durata del film non inficia sul livello di suspance che Bird Box raggiunge, avendo la sceneggiatura un trattamento così pieno di sfumature da rendere tutti i personaggi – specialmente quelli secondari – non delle semplici macchiette tipiche dei film horror, ma dei profili psicologici ben definiti e caratterizzati da personalità differenti. Bird Box si svolge su due piani temporali differenti e per necessità drammatiche ha più scene al chiuso che all’aperto. Questa particolarità ha fatto sì che la convivenza forzata di più personaggi in uno spazio domestico ristretto, abbia consentito ai vari personaggi di essere approfonditi e diventare le vere rappresentazioni di tutti i possibili modi di pensare e di reagire che ognuno di noi avrebbe in una situazione del genere, dove un’entità invisibile non solo ti induce al suicidio se incrocia il tuo campo visivo, ma potrebbe addirittura impossessarti della tua mente per indurre coloro che si nascondono a sacrificarsi.
Ciò che rende Bird Box così speciale e di successo – meritato nonostante il finale sottotono e accelerato, ma forse l’unico possibile – è la natura del male che dà la caccia al genere umano. Esso non è solo invisibile e avvertibile solo da alcuni animali – come gli uccelli in gabbia, appunto – e nemmeno quello che fa è così terribile, ma il modo in cui ti convince. Non si tratta della classica epidemia zombie dove qualcuno nasce immune o dalla quale ci si può proteggere biologicamente; in Bird Box per sopravvivere devi evitare di vedere il male, devi coprire il tuo sguardo, imparare a vagare per il mondo e la natura selvaggia guidato solo dalle tracce sotto ai tuoi piedi e dall’udito. Come se il romanzo di Malerman altro non fosse che un’allegoria della nostra epoca, dalla quale per proteggerti devi estraniarti, intuirla senza vederla – oppure, allo stesso tempo, un’allegoria di come la civiltà si sia già estraniata dalla realtà, proprio perché vederla ti induce alle considerazioni più terribili sul significato dell’esistenza.
Le differenze con un cugino scomodo
Il riferimento immediato che tutti abbiamo fatto è sicuramente il confronto tra Bird Box e A Quiet Place. Inutile negarlo, i due racconti hanno similitudini tremendamente evidenti. In entrambi i casi, il male sopraggiunge, non si sa da dove, non si sa perché, e riduce la popolazione umana a pochi sopravvissuti; per sopravvivere devi rinunciare ad una delle funzioni principali della comunicazione tra simili – la voce e l’emissione di rumori e il contatto visivo col mondo circostante; ci sono i figli da difendere e la natura selvaggia che ti bracca finché non sei morto; le donne sono il cardine della narrazione e a rendere le cose difficili ci sono dei neonati che scelgono di nascere nei momenti meno opportuni della sceneggiatura; la convivenza domestica è difficile e rischia di farli uccidere; non si sa come mai, ma in entrambi i casi i supermercati sono luoghi sfortunati.
Ciò che li differenzia è il tipo di tensione psicologica alla base dell’idea drammatica
Sebbene Bird Box sembri un prodotto fin troppo simile ad A Quiet Place, i due film condividono similitudini necessarie al tipo di genere al quale appartengono, ma al di là di ciò sono estremamente differenti e forse a vincere lo scontro è proprio il film di Netflix. A parità di genere e di argomenti trattati, quel che distacca in maniera netta i due film è il medium comunicativo del quale il genere umano deve fare a meno per sopravvivere. Krasinski pone come cardine della narrazione l’udito, senso sviluppato dai predatori che minacciano gli umani in A Quiet Place. Avendo una base del genere sulla quale costruire la sceneggiatura – e se valutiamo i due film in quanto prodotti horror – va da sé che il film funziona meglio dal punto di vista della suspance e degli scossoni emotivi che possono vivere gli spettatori. Quando punti tutto sul suono, ed essendo il cinema un mezzo di suggestione multisensoriale, la tensione sale inevitabilmente perché lo spettatore stesso è portato a non emettere nessun suono nei momenti peggiori del film.
È più coinvolgente, ha più a che fare con l’orrore immediato al quale si va in contro se non si rispettano le regole del racconto – sopratutto perché se vieni scoperto, puoi sempre avere una via di fuga che speri possa salvarti. Bird Box invece ribalta questa visione dell’orrore. Lo inserisce nell’immaginazione, nel senso principale col quale l’uomo riesce ad esercitare la sua volontà. Non solo non puoi scappare una volta scoperto, sei addirittura costretto a fare il gesto estremo senza possibilità di scampo. Dove i due prodotti sono uno meglio dell’altro per la suggestione che il genere comanda, Bird Box è sicuramente più inquietante, profondo e raffinato. In effetti, sopravvivere senza emettere rumori è fattibile quando sei costretto, ma come puoi evitare di guardare il mondo circostante quando una forza invisibile rischia di spingere i tuoi figli a suicidarsi nel più cruento dei modi? Come fai a non guardare il film, nonostante tu stesso non possa vedere l’origine del male?
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Riassunto
Susanne Bier riesce a creare un horror che non solo supera di gran lunga la qualità media delle produzioni originali Netflix, è un film che merita il pregio della parola cinema. Un espediente narrativo, quello dell’induzione al suicidio incontrollato, che tiene testa alle idee drammatiche dei film di genere usciti al cinema nell’ultimo anno. Una versione meno horror ma decisamente più terrificante di A Quite Place.