Menocchio, diretto da Alberto Fasulo e con Marcello Martini nei panni del protagonista, tratta la vera storia di Domenico Scandella detto Menocchio, un mugnaio semi-analfabeta del Cinquecento, che ha avuto il coraggio di opporsi ai dettami e i dogmi della Chiesa Cattolica assumendosi i rischi che da ciò ne conseguono: processo per eresia della Santa Inquisizione, incarcerazione e rogo. Quello che non ci si deve aspettare da questo film è lo stereotipato stampo hollywoodiano ma nemmeno un mero film storiografico.
In realtà, sebbene ambientato circa sei secoli fa, la storia ha a che fare molto con l’attualità. Fasulo è un racconta-storie, un artista realista che non vuole raccontare di eroi che si sacrificano per degli ideali, ma di uomini semplici con una vita semplice, come lo è anche il regista stesso e come lo sono gli interpreti da lui scelti, di cui approfondiamo nella nostra recensione. All’intervista, oltre al regista e al protagonista Marcello Martini, erano presenti anche altri membri del cast, tra cui Carlo Baldracchi, Nilla Patrizio, Roberto Dellai, Giuseppe Scarfi e Corrado Casagrande.
Come mai la scelta di fare un film su Domenico Scandella? C’era solo la volontà di mostrare questo personaggio conosciuto da pochi o qualcosa di più? Che cosa ha fatto scattare l’idea?
FASULO: “Credo che le idee non nascano mai da una cosa precisa ma da un insieme di cause e concause. Credo che io avessi bisogno di confrontarmi con questa statura morale, con questo personaggio che ha un universo importante, che agisce sia con la volontà di andare allo scontro con il potere, quindi l’utopia di migliorare il mondo, e sia nell’idea che [Menocchio] non è un eroe ma un uomo che decide di rinnegarsi attraversando la vita”.
Come vi siete preparati a girare il film? Com’è avvenuto il casting? Considerando anche che quasi nessuno degli attori è un professionista.
FASULO: “(scherzando) Prima del film no, da adesso saranno tutti professionisti.
Be’, secondo me il cinema ha una funzione anche antropologica e quindi credo che lo spettatore possa immedesimarsi molto di più avendo di fronte delle persone vere. Ho messo dei cartelli, degli annunci sui giornali per il casting e c’è chi è venuto così. Oppure altri passavano proprio nel momento in cui c’ero io, come Roberto [Dellai] che ho dovuto sedurre per mesi”.
Trattandosi di una storia vera, quella di un mugnaio del XVI secolo che ha avuto il coraggio di opporsi alla Chiesa Cattolica Romana, è stato difficile reperire le informazioni, le date gli avvenimenti per costruire il film? E c’è qualcosa di romanzato, che non è detto coincida con i dati reali?
FASULO: “Trattandosi di una storia vera ci volevano persone vere.
Il film è stato scritto partendo dagli archivi originali che sono presenti negli archivi vescovili, poi quarant’anni fa è nato un saggio importante, Il formaggio e i vermi, da cui il film però non è ispirato. Con il saggio però è nato un circolo culturale nello stesso paese di Menocchio che nel tempo ha raccolto, cercato, editato, pubblicato tante cose. Una volta fatta la ricerca, capiti gli avvenimenti presi sugli archivi, lo sforzo è stato anche allontanarsi perché non ho mai avuto intenzione di fare un film storico, ma un film sull’attualità. Nel fare questo bisognava incamminarlo in una – come dire – in una presa dal vivo, mettiamola così, e quindi gli attori non hanno letto la sceneggiatura e non hanno imparato dialoghi”.
SCARFI: “Abbiamo interagito proprio mentre lui [Fasulo] girava, noi parlavamo come persone del duemila, è quello che rende attuale secondo me il film, pur non tradendo l’aspetto storico perché non c’è niente di falsificato, però l’attualità viene dal nostro essere persone del duemila”.
FASULO: “Era solo improvvisazione. Nessuno ha letto la sceneggiatura, nessuno sapeva come finiva”.
Essendo un film dalla tematica complessa e ancora oggi altamente dibattuta, c’era per caso la volontà di fare una sorta di critica alla società odierna? Un confronto tra come veniva vissuta la religione un tempo e come è vissuta oggi?
FASULO: “È difficile non criticare qualcosa, forse però più che criticare il mio intento era risvegliare gli animi eretici. Per me è così. E comunque io avevo desiderio di confrontarmi con questo personaggio che secondo me rintracciavo fortemente nella persona di Marcello. Io e Marcello abbiamo trascorso un anno, un anno e mezzo, a parlarne, abbiamo costruito un rapporto.
Se penso alla mia carriera fino a qui ne ho fatte abbastanza di eresie, anche questo film è in un certo senso eretico. Credo che arrivato a 42 anni avessi bisogno di confrontarmi con questo, con il desiderio di essere eretico però anche sapere di avere una responsabilità. Il film è anche questo, come porsi davanti a un desiderio, se rinnegarsi rinunciando a sé stessi o andare fino in fondo”.
La nostra recensione di Menocchio
Ho avuto il piacere di vedere anche il tuo film del 2013, Tir, e paragonandolo col trailer di Menocchio, ho notato che hai uno stile molto particolare, con inquadrature sui primi piani e attenzione ai dettagli. Quindi è un tratto che ti caratterizza. Ma come mai proprio questo stile? C’è un qualche tipo di volontà (interiore) che ti spinge a usare questo stile? E hai qualche modello a cui ti ispiri?
FASULO: “Quando una persona parla mi piace guardarla negli occhi e quindi tendo ad avvicinarmi”.
[A Marcello] Quando Alberto ti ha chiesto di interpretare Menocchio, cosa ti ha davvero spinto a interpretarlo? Hai avuto dei ripensamenti prima o durante le riprese?
MARTINI: “Quando ha cominciato a descrivere questo Menocchio io ho detto “questo qua mi sta leggendo la vita”. Era come se parlasse di me, lui stesso diceva “ma tu parli come parlava Menocchio”. Quindi non è stato difficile poi entrare nella parte, in pratica non sono mai neanche uscito dalla parte. Ero quella parte, fermo in un posto, lì, ad aspettare che lui gettasse l’amo. E mi ha pescato”.
FASULO: “Chi aveva una qualche preparazione teatrale ha avuto più difficoltà perché nelle scuole teatrali impari invece a mettere una maschera. Invece nei miei film non ci sono maschere”.
[A Marcello] Conoscevi già il personaggio? Ti è stato difficile entrare nella parte o lo hai sentito da subito tuo?
MARTINI: “Non conoscevo il personaggio, sapevo dell’esistenza del centro culturale da dieci anni però non mi sono mai interessato a chi fosse. Ma neanche mi interessava”.
DELLAI: “Quando Alberto mi ha chiesto di fare il film io non ci credevo. Io lavoravo in una via qui del centro, per la provincia, e dovevo andare a timbrare e lui era dentro e non riusciva ad aprirmi le porte. Diceva “non posso aprirti”. C’era però una finestra, mi ha aperto quella e io sono entrato. Mi ferma, mi guarda e dice “abbiamo trovato una persona”. Io gli ho detto “ma stai scherzando?” Non mi interessa il cinema e ironicamente gli ho detto “guarda, posso fare il nano da giardino, sono alto uguale”. Il giorno dopo ci siamo visti, mi ha spiegato e fatto vedere un pezzo del girato di Marcello, ho un po’ capito la storia e poi mi sono convinto. Pensavo che recitare sotto un copione fosse difficile, invece io ho recitato su quello che avevo davanti, parlavo e rispondevo, non c’era una battuta preparata”.
BALDRACCHI: “Io nel film faccio il carceriere Parvis ma lavoro al castello del Buonconsiglio. Sono andato a servire il tavolo 25 e subito una persona si alza in piedi e dice “Piacere, Alberto”. Non sapevo fosse il regista Alberto Fasulo, pensavo fosse solo qualcuno che lavorava lì. Finisco il mio servizio ma appena sono uscito dalla porta Alberto mi ferma e fa “avresti voglia di fare un film?”. Gli ho risposto che era già il secondo che me lo chiedeva. Mi ha spiegato un attimo e dopo il provino mi ha detto che ad agosto verrò contattato. Il giorno 16 il telefonino ha cominciato a squillare e non ha smesso per una settimana. Da lì sono iniziate foto, prove costumi, ecc. È stata un’esperienza unica per chi non ha mai fatto cinema, a quasi sessant’anni non ci pensi a fare un’esperienza del genere. Ci siamo trovati molto bene, quando lui [Marcello] è arrivato da me abbiamo fatto tutto il film insieme”.