
Dopo anni di attesa – decenni oramai – i Queen sono arrivati al cinema, in un film, Bohemian Rhapsody, che nel bene o nel male riesce ad accontentare tutti. La storia del progetto inizia da molto lontano, quando nei panni di Freddie Mercury vi era ancora un Sacha Baron Cohen reduce di Borat che non aveva mai troppo convinto Brian May e Roger Taylor – e forse anche John Deacon, in uno dei suoi momenti più partecipativi alla vita della band. Sacha Baron Cohen aveva dato al personaggio del cantante una spinta troppo lussuriosa che puntava più all’eccesso, piuttosto che alla sfaccettatura multipla di cui Mercury era dotato. Bohemian Rhapsody è film che ha avuto a lungo modo di essere elaborato, concepito, riscritto, ponderato e confezionato, fino all’ufficializzazione di Bryan Singer alla regia – purtroppo parziale e si vede – e Rami Malek nei panni del frontman.
Molti fan e critici improvvisati storsero il naso di fronte a tali scelte, ma dopo aver visto il risultato finale non si può dire che l’attore non sia nato per recitare in Bohemian Rhapsody, che tra i mille pregi di cui dispone uno è sicuramente la recitazione di tutti i membri del cast. Il film è infatti un’opera corale che concentra la sua attenzione sul personaggio di Mercury senza però tralasciare il senso completezza che la musica dei Queen ha saputo dare, proprio grazie a tutti e quattro i membri, interpretati alla perfezione dai protagonisti.
Gli sceneggiatori sono riusciti a dare la giusta idea allo spettatore, di chi fossero i Queen
Rami Malek a parte, al quale bisogna rivolgere un occhio di riguardo più approfondito, i restanti tre membri sono ricalcati magnificamente da Ben Hardy (Roger Taylor) Joseph Mazzello (John Deacon, che si è personalmente complimentato con l’attore) e Gwilym Lee (Brian May). Ogni musicista di questa rock band, unica sotto tutti i punti di vista, era un elemento a sé stante del tutto eterogeneo dal resto del gruppo ma del tutto non autosufficiente senza i propri compagni, dotati di caratteristiche particolari che mescolate assieme hanno formato l’unione di menti musicali più famose e citate di sempre. Il silenzio tagliente e sornione di Deacon, la pignoleria sarcastica di May, il temperamento infuocato di Taylor e l’egocentrismo esuberante di Mercury sono stati riportati sullo schermo esattamente come un fan avrebbe desiderato e sebbene il minutaggio e il tono di voce di Bohemian Rhapsody non abbiano concesso di andare troppo a fondo in ogni personaggio, quel che gli sceneggiatori hanno stabilito come caratterizzazioni dei musicisti è più che sufficiente per dare la giusta idea allo spettatore, anche più profano, di chi fossero i Queen e quale fosse il genere di rapporto che la band ha stretto durante vent’anni di carriera.
Il buono e il cattivo di Bohemian Rhapsody
Il cast è sicuramente uno dei punti di forza, esaltato dall’umorismo sagace con cui gli sceneggiatori hanno saputo amalgamare tutte le sequenze del film. Mercury era uno senza peli sulla lingua, intollerante alle situazioni imbarazzanti o da lui ritenute sprechi di tempo, May era un vero specialista nel lanciare frecciatine e quando Taylor aggiungeva al clima di tensione qualcosa di pericolosamente esplosivo, Deacon tirava fuori dal repertorio l’osservazione più disarmante per tenere a bada il gruppo.
Rami Malek gode più di tutti di una caratteristica unica e davvero ben sfruttata dagli sceneggiatori, donando al suo Freddie una vena umoristica da vera prima donna, facendo divertire col suo modo di fare esuberante e senza freni inibitori, alternato a momenti di profonda delicatezza e dolcezza, tratti tipici della sua anima festaiola e allo stesso tempo isolata. Oltre alle situazioni più divertenti che hanno alleggerito il peso drammatico di Bohemian Rhapsody e allo stesso tempo dato un’idea più precisa di chi fossero i Queen, a farla da padrona tra i punti di forza c’è sicuramente la discografia del gruppo, presentata troppo spesso con degli sbalzi temporali che un appassionato paragonerebbe a dei veri e propri strafalcioni – Fat Bottomed Girls viene all’improvviso ringiovanita di quasi cinque anni, mentre We Will Rock You viene collocata in The Game, per citare solo alcuni esempi di inesattezze storiche lampanti.
Grandi strafalcioni temporali in Bohemian Rhapsody: Fat Bottomed Girls perde cinque anni e We Will Rock You viene inserita in un album diverso
La musica dei Queen è onnipresente e l’intero Bohemian Rhapsody risulta essere un concerto in continua evoluzione, con dei brani scelti accuratamente e collocati nei momenti opportuni del film a rinforzare l’enfasi delle scene che richiedevano una drammaticità più romantica – come Love of my Life – una più tragica – come Under Pressure – o perfino come elemento diegetico che esprima un concetto emotivo del personaggio di turno – intelligentissimo infatti l’utilizzo di Lazing on a Sunday Afternoon durante un pranzo della famiglia Bulsara.
Il lato negativo di questo aspetto fondamentale del film però risulta essere la sua principale debolezza: per farci stare tutto – ma proprio tutto – quel che successe alla band dal 1970 al 1985, i primi eventi discografici fondamentali vengono tralasciati malamente e alcuni, più iconici , vengono addirittura spostati avanti o indietro nel tempo, causando così una controparte negativa a quello che altrimenti è un ottimo film perfettamente confezionato, che purtroppo deve accontentarsi di essere un meraviglioso film drammatico su Freddie Mercury e un tentativo quasi approssimativo di racconto musicale sui Queen. Un elemento questo che non passa inosservato e che rischia quasi di deludere i fan, spesso alle prese con l’interrogativo di come Taylor, May e Deacon abbiano potuto avallare certe decisioni di sceneggiatura.
Bohemian Rhapsody risente dello scandalo delle molestie a Hollywood
Ulteriore pregio che però non si è risparmiato delle pecche è la regia. Bohemian Rhapsody è a tutti gli effetti un film di Bryan Singer, non solo per la mancanza di Dexter Fletcher tra gli accreditati, ma perché conserva tutti i tratti distintivi del linguaggio filmico del regista de I Soliti Sospetti – quali il montaggio che salta da un momento storico all’altro, la fotografia carica e impregnata di colore, i movimenti di camera spettacolari e avveniristici come quelli del tour americano e del Live Aid – ma patisce comunque gli effetti dello scandalo Weinstein, abbattutosi anche su questo film che meno di tutti meritava di essere travolto dalle controversie legate alle molestie.
Il cambio di regia in alcuni passaggi si sente, si avverte nella direzione degli attori, nel taglio delle inquadrature e perfino in alcuni dettagli, che rendono il tutto molto meno omogeneo di quanto dovrebbe essere. Un aspetto che invece è sicuramente un pregio intatto è il modo in cui è stato scritto il percorso privato di Mercury, ultimamente sminuito per l’assenza o l’apparente travisazione di elementi che approfondiscono la sua natura sessuale e le sue abitudini. Ciò non solo non accade, ma anzi il percorso sessuale del cantante viene reso così bene da essere il fulcro narrativo perfetto attorno al quale far orbitare tutte le vicende. Le origini della malattia, la gestione delle conseguenze, l’amore con Mary Austin e i successivi eccessi di droga, alcol e orge omosessuali sono presenti e sfruttati a dovere dal racconto, lasciando ben poco all’oscuro dello spettatore che con Bohemian Rhapsody può finalmente godersi una rappresentazione umana ideale di Freddie Mercury.
Freddie Mercury
Giungendo alle considerazioni del vero punto di forza di Bohemian Rhapsody, il Freddie Mercury di Rami Malek è intenso e profondo, tanto basta da commuovere alle lacrime lo spettatore e allo stesso tempo educarlo su chi fosse il cantante delle sue canzoni preferite di sempre. Ultimamente la sorella del cantante ha detto di essersi sentita al cospetto del fantasma di Freddie, solo stando accanto a Malek, ma che sia vero o no, quel che resta di questo personaggio una volta goduta la visione del film è il ritratto meticoloso di un uomo fragile ma comunque imperterrito.
Le origini di Mercury/Bulsara sono citate a dovere – anche se poco approfondite – e il suo percorso artistico prosegue di pari passo con quello personale, fino all’incrocio dei due cammini, che finiscono per metterlo inevitabilmente contro il volere della band. La storia d’amore con Mary Austin fa da cornice a tutto il film e consente di vedere nella psicologia fragile e bisognosa di affetto materno di Mercury, alle prese con costanti sensi di colpa, dubbi ed eccessi legati alla propria sessualità, sfociati nella triste morte per conseguenze legate all’HIV – la cui rivelazione ai Queen in Bohemian Rhapsody viene fatta nel 1985, qualche anno prima la vera comunicazione del fatto, avvenuta in un periodo della carriera musicale del gruppo già più armoniosa e in procinto di essere conclusa.
Rami Malek ci mostra un Freddie Mercury innamorato della vita e spaventato dalla solitudine
Bohemian Rhapsody ci mostra un Freddie divoratore di affetto che troppo spesso si sente solo anche in mezzo alle persone che gli vogliono bene, costante emotiva della vita del cantante che lo ha poi condotto ad una primordiale rottura con parecchi membri del suo entourage e dei Queen. Gli eccessi, la voglia di sfondare, le doti mediatiche e teatrali, sono un pacchetto completo confezionato su misura per Rami Malek che ne gestisce il contenuto con una confidenza disarmante. La star di Mr Robot infatti si destreggia tra i gatti domestici e gli amanti con la grazia di una vera Killer Queen, concedendoci dei momenti di assoluta bellezza e dolcezza che dipingono nel dettaglio l’amore di Mercury per la vita, ma anche l’odio che aveva nei confronti della solitudine – e forse anche dell’amore. La sequenza al telefono con Mary Austin, che gioca da una casa all’altra ad accendere e spegnere una lampada, è tanto semplice quanto tragica: mostra infatti le abitudini e le frustrazioni di un uomo rimasto senza contatti umani che cerca disperatamente un appiglio stabile e solido al quale affidarsi, ma che non troverà fino all’arrivo di Jim Hutton.
Le inesattezze storiche si ripercuotono anche su Mercury, ma in maniera molto più giustificabile per le esigenze di sceneggiatura piuttosto che quelle fatte sulla discografia dei Queen, e alla fine tutta la parte di Bohemian Rhapsody concentrata sul cantante risulta essere un film drammatico di prima categoria, con una storia omosessuale tenera e fragile controbilanciata dall’estro espansivo di Freddie, sempre alla ricerca di qualcosa di più, che fosse la musica o un compagno col quale condividere il resto dei suoi sentimenti. Ci sono voluti quasi vent’anni per avere una biopic sui Queen e Bohemian Rhapsody è sicuramente un prodotto che convince sia la vecchia che la nuova guardia di fan, concentrando l’attenzione su un Freddie Mercury strutturato con cura che ci concede dei momenti di estrema drammaticità degni di un uomo leggendario. Il film patisce talvolta il cambio di regia avvenuto in corso d’opera, sebbene risenta sopratutto di una costante inaccuratezza storica nel riportare gli eventi che hanno caratterizzato la vita della band. Un lavoro di alto livello, che restituisce grandezza non solo a Mercury, ma a tutta la musica dei Queen.
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Riassunto
Ci sono voluti quasi vent’anni per avere una biopic sui Queen e Bohemian Rhapsody è sicuramente un prodotto che convince sia la vecchia che la nuova guardia di fan, concentrando l’attenzione su un Freddie Mercury strutturato con cura che ci concede dei momenti di estrema drammaticità degni di un uomo leggendario. Il film patisce talvolta il cambio di regia avvenuto in corso d’opera, sebbene risenta sopratutto di una costante inaccuratezza storica nel riportare gli eventi che hanno caratterizzato la vita della band. Un lavoro di alto livello, che restituisce grandezza non solo a Mercury, ma a tutta la musica dei Queen.