Maniac si è presentato al pubblico come un racconto sulla sperimentazione della cura delle malattie mentali, risultando essere un prodotto audace, avvincente e così sottilmente appeso al filo tra realtà e fantasia da indurre lo spettatore a chiedersi cosa sia reale o meno. La coraggiosa serie di dieci episodi diretta da Cary Fukunaga e interpretata da Emma Stone e Jonah Hill è uno dei migliori in assoluto della stagione autunnale. Maniac riesce a rimbalzare dentro e fuori dal cervello senza però finire davvero al di là del seminato.
La narrativa non convenzionale di Maniac segue due newyorkesi, Annie Landsberg (Emma Stone) e Owen Milgram (Jonah Hill), che si offrono volontari per partecipare ad una sperimentazione farmaceutica che pretende di curarli in modo permanente da tutti i problemi di salute mentale. Durante lo studio, una serie di farmaci li spinge ad esplorare vari angoli del loro subconscio mentre esumano traumi che hanno fatto del loro meglio per seppellirli.
Recitando in Maniac, Stone e Hill non solo riescono a descrivere alla perfezione il percorso clinico, ma assumono ance una serie diversificata di personaggi che i protagonisti assumono nelle loro menti una volta che le medicine iniziano a fare effetto, arrivando a far indossare ad Annie i panni di Legolas e Owen quelli di un politico austriaco remissivo dal forte accento austro-finlan-svede-oland-italian-islandese, per poi mostrarli assieme come una coppia di Long Island sposatasi negli anni ’80. Se tutto ciò sembra strano, sappiate che sono solo caratteristiche superficiali di questo passaggio di Maniac, che ci regala anche un Justin Theroux nei panni del medico ideatore della cura e Sally Field in un doppio – o triplo? – ruolo.
Maniac va oltre il rimando ad altre opere con un tono di voce unico
A mandare avanti la produzione di Maniac abbiamo trovato il creatore e co-sceneggiatore Patrick Somerville, che ha lavorato a The Leftlovers, e Cary Fukunaga, l’impeccabile regista della prima stagione di True Detective – e di Bond 25 – il quale ha diretto ogni singolo episodio della serie in maniera sobria e inconfondibile. Il fatto che Somerville sia stato tra i responsabili di Maniac è una cosa che ha effettivamente senso. L’idea drammatica poteva anche essere stata “facciamo una serie in cui quasi tutti gli episodi sono come International Assassin di The Leftlovers”, ma Maniac è andata molto oltre col suo tono di voce.
Il primo episodio si concentra su Owen e il secondo ad Annie, narrando quello che entrambi vivono preparandosi ad entrare al Neberdine Pharmaceutical per intraprendere la cura di tre giorni. Owen è uno schizofrenico appena rimasto disoccupato che ha trascorso del tempo in un ospedale psichiatrico per la sua tendenza a sentire le voci, vedere un fratello immaginario e proveniente da una famiglia piuttosto controversa. Durante la stagione ci si diverte molto nel vedere i Milgram appesi ad un muro nel quadro di famiglia mentre, fuori dalla cornice, Owen figura da solo in una foto adiacente al quadro.
Quando il ragazzo vede Annie, si convince di essere stato predestinato ad incontrarla per salvare il mondo. Annie potrebbe avere una presa più salda sulla realtà, ma a modo suo risulta indifesa, consumata dal senso di colpa per la rottura tra lei e sua sorella Ellie – la Julia Garner di Ozark. È ansiosa di lasciarsi curare dalle medicine miracolose per poter finalmente abbandonare questa sofferenza e all’inizio si dimostra ostile ad Owen, per iniziare presto a credere anche lei di avere affianco il partner di una coppia dinamica.
Ogni volta che i protagonisti di Maniac sono sotto l’effetto del medicinale, il contatto con la realtà si deforma in maniera fantasiosa, come nel caso della seduta terapeutica finita in una villa isolata nel 1947. Ogni episodio si svolge al ritmo conciso di 45 minuti o poco meno. La scenografia è costantemente in movimento e anche se le scene in tempo reale sono ambientate a New York, la versione di questa città sembra quasi una versione alternativa a quella reale, come nel caso dei computer, apparentemente molto avanzati come quelli di WarGames. Ancora, al posto della Statua della Libertà troviamo qualcosa che una guida turistica chiama la Nuova Statua della Libertà.
Maniac è uno sguardo divertente e profondo sulla malattia mentale
Questi dettagli paradossali di Maniac fanno parte di cioè che rende la serie davvero affascinante. Il progetto di Alex DiGerlando fonde il laboratorio di Neberdine con dettagli classici della fantascienza, come i sensori che controllano le funzioni vitali dei pazienti in stile kubrickiano, tornando ad uno stile vecchio ormai cinquant’anni e quasi dimenticato. È anche divertente vedere il cast assumersi dei rischi fuori dal comune. Nonostante le grandi prove di Theroux e Field – immensa, speciale, divertentissima – Maniac appartiene di fatto a Stone e Hill, a cui vengono costantemente offerte vie di fuga dagli scenari nei quali si immergono una volta narcotizzati.
Owen spesso si ritrova impantanato nella sua situazione da incartarsi nei discorsi, ma quando prende le vesti delle versioni alternative di sé diventa uno spasso, un sentimentale e addirittura un minaccioso. Stone non ha alcun problema a farsi strada tra i problemi di Annie con Ellie e diventare una versione femminile di Legolas o una sensuale assassina del sud armata fino ai denti non è di certo un problema per le sue doti attoriali. Riguardo Fukunaga, la sua regia è perfetta e riprende dalla sua filmografia. Una scena in cui Hill finisce in una sparatoria a eliminazione diretta fatta con un piano sequenza ricorda molto qualcosa di già visto in True Detective.
Nel complesso, Maniac è divertentissima da guardare ma complessa da elaborare. Non è un prodotto interessato a mettere in evidenza la realtà della depressione o di altre malattie mentali quanto lo è il voler catturare la verità fondamentale su di esse: come finiscono per isolare le persone, fanno scherzi al cervello e non possono necessariamente essere catturate con metodi semplici. È un racconto accurato su come esse siano un dramma, risultando un connubio perfetto di psicanalisi e generi cinematografici, tra cui spicca la commedia nera. Un racconto della malattia mentale a cavallo con la fantascienza, con elementi che immergono il mood del film nelle migliori produzioni di Terry Gilliam, Luc Besson e Stanley Kubrick
Il fatto che Maniac sia così costantemente in grado di suscitare delle risate risulta la sua dote migliore, mischiata alla sua assoluta casualità. La promessa che i medici fanno prima di iniziare il trattamento è che nessuno può entrare nella testa dei pazienti tranne loro, ma non è per niente vero. La serie mostra molto bene le menti sincronizzate dei protagonisti e una volta che iniziamo a fare capolino nei loro crani, è impossibile distogliervi lo sguardo!
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Riassunto
La coraggiosa serie di dieci episodi diretta da Cary Fukunaga e interpretata da Emma Stone e Jonah Hill è uno dei migliori in assoluto della stagione autunnale. Maniac si è presentato al pubblico come un racconto sulla sperimentazione della cura delle malattie mentali, risultando essere un prodotto audace, avvincente e così sottilmente appeso al filo tra realtà e fantasia da indurre lo spettatore a chiedersi cosa sia reale o meno. Non è un prodotto interessato a mettere in evidenza la realtà della depressione o di altre malattie mentali quanto lo è il voler catturare la verità fondamentale su di esse: come finiscono per isolare le persone, fanno scherzi al cervello e non possono necessariamente essere catturate con metodi semplici.