Chiunque seguisse il cinema, aveva una certezza: capolavoro o timbrata di cartellino, una volta all’anno in sala ci sarebbe stato un film di Woody Allen. E’ dunque una notizia significativa lo stop, forse momentaneo forse definitivo data la veneranda età di 82 anni, alla carriera cinematografica del celebre autore. Per la prima volta in decenni, Allen infatti non solo non ha film in lavorazione, ma il suo ultimo A Rainy Day in New York, pronto dallo scorso autunno, non uscirà mai, almeno tramite Amazon che l’ha finanziato.
A gennaio già vi comunicammo che l’ultimo attacco del movimento #MeToo a Woody Allen aveva portato Amazon, già nella tempesta dopo il licenziamento del suo executive Roy Price per molestie, a sospendere l’uscita dell’ultimo lungometraggio del regista. Ora pare che la sospensione si sia trasformata in un vero e proprio cestino, dal quale il film con Selena Gomez, Elle Fanning, Jude Law, Rebecca Hall e Timothée Chalamet potrebbe uscire solo se qualche altro distributore lo acquistasse. Prospettiva improbabile.
L’autore avrebbe pronta un’altra sceneggiatura, ma stando a quel che si dice gli è al momento difficilissimo trovare finanziatori e attori disposti a sostenerlo.
Il movimento #MeToo nello scorso autunno ha riattaccato Woody Allen sulla questione delle presunte molestie sessuali a sua figlia Dylan nel 1992, con un’intervista video disperata della stessa, foriera di un rinnovato scalpore sulla vicenda. Va ricordato sempre che l’attore e regista fu indagato al momento, oltre 25 anni fa, e che non fu però mai incriminato.
Woody Allen ha sempre negato fermamente l’accusa rivoltagli dall’ex-compagna Mia Farrow. Woody Allen è stato di recente difeso dal figlio Moses (all’epoca dei fatti tra gli accusatori), pentito – a quanto dice – per essersi sottoposto appena quattordicenne a quella che secondo lui è stata una manipolazione costante da parte della Farrow. Moses nello stesso pezzo ha anche pregato la sorella Dylan di riprendere il controllo della propria vita.
Agli occhi dell’establishment hollywoodiano poco importa comunque quale sia la verità. In un contesto in cui James Gunn è stato licenziato dalla Disney e dai Guardiani della Galassia per tweet idioti di oltre un decennio prima, l’ombra su Allen di un quarto di secolo fa torna a far discutere la rete e porta i produttori a temerla. Dopo che Chalamet e Hall hanno devoluto il loro compenso per A Rainy Day in New York a un fondo per difendere le vittime delle molestie, come pubblica espiazione, e che persino Michael Caine ha dichiarato che non avrebbe più lavorato con Allen, la sentenza è stata scritta.
A questo va aggiunto che i film di Woody Allen da anni non incassano molto e sono sempre un rischio economico, e che per un attore o un’attrice avvicinarsi a una sua opera a questo punto significherebbe risultare “complice del maniaco” davanti all’opinione pubblica americana. Pare inoltre che Amazon, che aveva con Allen un accordo di lungo termine comprendente già i distribuiti La ruota delle meraviglie e la miniserie Crisi in sei scene su Amazon Prime Video, stia meditando di troncare il contratto con l’autore, anche pagando una penale.
S’intenda: Woody Allen non smetterà tout court di lavorare. Nel luglio del 2019 sarà infatti regista alla Scala del Gianni Schicchi di Puccini, da lui già allestito a Los Angeles. Il cinema però è un altro paio di maniche. A meno di non assemblare finanziamenti per progetti con attori stranieri o europei, ci sembra difficile che l’establishment di Hollywood gli riapra le porte, sempre peraltro tenute semichiuse: gli attori americani lo rispettavano, i finanziatori molto meno, tanto che diversi dei suoi ultimi lavori erano coproduzioni internazionali.