La scorsa estate 2018 – quella del #20gayteen – si è conclusa con numerose celebrazioni del Pride un po’ in tutto il mondo. Tra parate e proteste, la solidarietà globale per la comunità LGBTQ+ sta raggiungendo livelli sempre più alti. È evidente che le promesse sono state mantenute e sta andando sempre meglio. Anche Hollywood se lo è annotato dato che la comunità queer sta finalmente ottenendo il suo happy ending nei film LGBT.

Sarebbe però un’esagerazione dire che il cinema queer ha raggiunto il massimo: da quello che suggeriscono le statistiche del GLAAD’s film report, in qualche modo il progresso è diventato una regressione, con un calo non indifferente delle rappresentazioni di film LGBT. Quello che ci importa sottolineare è la qualità più che la quantità. Infatti, pare che i giorni delle trame tormentate con morti inevitabili siano finiti, dato che ci si sta lentamente allontanando da quei finali tragici, tumultuosi e completamente sconvolgenti (vedasi La vita di Adele o Boys Don’t Cry), per celebrare invece il trionfo dell’amore e (Moonlight e Love, Simon).

LGBTQ+, una comunità cancellata

Film LGBT CinemaTown.it

Se sei un membro della comunità LGBTQ+ e hai visto almeno uno di questi film LGBT, o serie tv, che parlano di persone queer, sai anche che ci sono dei topoi che si sprecano. Uccidere i gay, o la sindrome della poiana sono diventati troppo “normali”. Ormai, abbiamo instillato in noi un macabro gaydar: ogni volta che vediamo un personaggio che abbiamo rilevato come queer o la cui sessualità è stata riconosciuta, sappiamo anche che è solo una questione di tempo prima che questo trovi la sua tragica fine. Anche il queerbating è un altro grande e crudele topos. Ci viene sempre dato un sottotesto gay, ma mai che venga ripagato mostrandoci una vera persona queer o una coppia gay, con esplicite menzioni a tali situazioni brutalmente tagliate o peggio, personaggi che non saranno mai LGBTQ+ ma che potrebbero esserlo. Al massimo, viene suggerito giusto per incoraggiare la guerra tra fandom e guadagnare punti sui social.

Cosa è peggio? Morire o non esistere affatto? Entrambe le opzioni sono inaccettabili per la comunità LGBT e Hollywood finalmente li sta ascoltando. Gli Academy Awards non sono necessariamente sinonimo di buon cinema, ma guardando agli ultimi anni, un bel film queer è stato nominato o ha vinto circa ogni anno. Moonlight ha trionfato su La La Land e se consideriamo che non solo parla di persone LGBTQ+, ma anche di persone nere e LGBTQ+, allora la vittoria è doppia. Il fatto che una narrazione ben studiata e dolce di uomini gay e neri possa prevalere su una produzione fatta interamente di ballo e canto nel glorioso mondo hollywoodiano è un successo enorme. Dopo Dallas Buyers Club e Brokeback Mountain, è nato un consenso generale sul fatto che sia arrivato il momento per i film queer di finire con un happy ending riconosciuto, apprezzato e da vedere.

Il mondo evolve attraverso gli occhi del cinema

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Se diamo un’occhiata al 2016, possiamo vedere Carol che – sebbene sia un film LGBT che non ha vinto l’Oscar – ha però preparato il terreno per Moonlight, con una storia malinconica ma sensuale di due donne lesbiche che alla fine riescono a far funzionare la propria relazione. Un’antitesi all’isterica, pseudo-porno storia de La vita di Adele. Il ruggente apprezzamento di Chiamami col tuo nome, poi, non si è ancora spento. Anche a Fantastic Woman, vincitore per il miglior film straniero, ha dimostrato quanto sia importante il modo di trattare dei soggetti a tematica gay sullo schermo e dell’inclusione delle persone queer nella narrazione.

Ce n’è estremamente bisogno soprattutto oggi, sotto l’amministrazione di Trump, che rifiuta qualsiasi supporto alle persone LGBTQ+ negli USA, e quindi per le persone queer sta diventando sempre più difficile far sentire la propria voce. Il mondo sta evolvendo e lo fa con sempre più rumore: basta vedere le proteste in Cecenia da quando sono iniziate le persecuzioni verso i gay, o l’Uganda i cui attivisti LGBTQ+ vogliono organizzare il gay Pride dopo l’inasprimento del governo nel 2016. L’arte e i media non possono ignorare la forte storia delle persone queer che sempre di più chiedono di avere una rappresentazione nel governo e nella politica. La domanda si fa sempre più alta e l’offerta dei film LGBT non può e non deve tirarsi indietro.

Alcuni film di successo come The Wound (Sud-Africa) e Rafiki (Kenya), entrambi ambientati in paesi africani, dipingono storie queer che nessuno ha mai sentito, rimosse dal mondo bianco occidentale. Ma hanno ricevuto anche reazioni negative nei loro paesi d’origine – Rafiki è stato bannato in Kenya e The Wound ristretto solo a quelle località del Sud Africa dove sono permessi i film per “adulti” – e questo dimostra ancora una volta che storie di questo tipo devono permettere l’accesso a livello globale.

Alcuni film LGBT sono storie che la maggior parte del mondo non conosce

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God’s Own Country e Disobedience sono altri esempi di storie che nessuno conosce. Disobedience è la storia di due lesbiche ebree-ortodosse di Golders Green che cercano la libertà all’interno dei limiti del loro destino, mentre God’s Own Country dipinge splendidamente la storia di Johnny, un contadino inglese che si innamora di Gheorghe, un operaio immigrato dalla Romania. Disobedience ha una sorta di finale positivo, perlomeno non muore nessuno. Anche l’altro si conclude con i due uomini che, non solo finiscono insieme, ma hanno anche l’approvazione della famiglia di Johnny, anche se inizialmente un po’ esitante. Quando parla col padre riguardo la manutenzione del terreno che possiedono, Johnny gli dice che potrebbe gestirla solo assieme a Gheorghe, un sentimento davvero bello sbattuto in faccia all’omofobia alla xenophobia di un paese in via di Brexit.

Finali felici come questi sono un monito alla speranza e ottimismo per il futuro. Un po’ idealista forse, ma non impossibile da raggiungere. Ci sono così tante storie là fuori, ce n’è davvero per tutti i gusti. Love, Simon, ad esempio, semplice, conciso e tremendamente dolce, è la versione gay di Cenerentola che abbiamo sempre voluto, una teen dramedy cucita per i giovani gay. L’arrivo della comedy di Paul Rudd e Steve Coogan, Ideal Home, è un altro testamento dell’attuale accessibilità ai film gay. Interpretando una coppia gay, i due adottano un bambino di 10 anni e riprendono i valori di una famiglia convenzionale. Non si tratta di qualcosa di rivoluzionario, ma solo di una delle tante rappresentazioni queer. Le storie LGBTQ+ non risiedono più in squallide riprese XXX.

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