La vita pone ognuno di noi di fronte a infiniti dilemmi, su cosa fare del proprio destino, come condurre una vita regolare, come non condurla affatto, o perfino su come prendere le scelte migliori anche nelle piccole cose. Le crisi esistenziali sono infatti una costante per il percorso edificante di ogni individuo, che spesso trae da essa la forza per migliorarsi e nel peggiore dei casi quella per prendere le scelte meno consigliabili. Un momento dell’esistenza davvero impegnativo e ampiamente analizzato dalla letteratura, dalla musica, dalle arti figurative e ovviamente anche dal cinema, che più di tutti ha la possibilità di raccontare le dinamiche della nostra psiche grazie alla proiezione di concetti in movimento, esattamente come i ragionamenti del nostro io.

Quando le crisi esistenziali arrivano, grandi o piccole, segnano comunque un momento delicato per chi la deve vivere, facendo sì che di tanto in tanto anche i meglio preparati debbano riferirsi a qualcosa di esterno per superarla o gestirla in maniera migliore. Proprio in questo il cinema ha dato ampia prova di essere la miglior fonte d’ispirazione per riflettere sulla natura delle crisi esistenziali stesse, con pellicole che spesso e volentieri hanno posto domande in grado di farci riflettere, rispecchiare e sentire in grado di andare avanti. Di seguito analizzeremo alcuni dei titoli che hanno fatto delle crisi esistenziali il loro perno narrativo.

Il Settimo Sigillo (1957), Ingmar Bergman

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Il classico esistenziale di Ingmar Bergman affronta una delle più grandi paure del genere umano in modo unico. Ambientato nella Svezia medievale, Il Settimo Sigillo segue le vicende di un cavaliere che torna a casa dalle Crociate, solo per scoprire che la sua terra natale è stata devastata dalla peste.

Iniziando così una delle migliori crisi esistenziali, incontra la morte in persona, con la quale stipula un contratto scommettendo la sua vita in una partita a scacchi. Il loro gioco continua imperterrito mentre il cavaliere si trova faccia a faccia col peggio della natura umana.

Il mio cuore è vuoto come uno specchio che sono costretto a fissare. Mi ci vedo riflesso e provo soltanto disgusto e paura. Vi leggo indifferenza verso il prossimo.

Col suo scudiero, assistono a malattie devastanti, infedeltà, crudeltà e orribili autolesionismi religiosi. Le azioni depravate dei personaggi de Il Settimo Sigillo costringono lo spettatore a chiedersi se c’è qualche cosa di buono nell’essere umano e mentre i viandanti incontrano nuovi compagni di viaggio, la partita a scacchi assume un nuovo significato: il cavaliere sfida la morte per tenere al sicuro i suoi nuovi amici.

In contrasto con l’avidità e la depravazione dilaganti attorno a lui, il cavaliere tenta un piccolo atto di bontà e gentilezza. Alla fine, tuttavia, si rende conto che la morte è inevitabile e che i suoi tentativi di creare il bene nel mondo sono così futili da sembrare insignificanti. Il concetto che la morte annulli i nostri tentativi di dare un significato alle cose è un pensiero filosofico che pone lo spettatore sull’orlo di una delle crisi esistenziali, o quanto meno lo spinge a riflettere sul significato delle nostre azioni.

L’Avventura (1960), Michelangelo Antonioni

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Presentato per la prima volta al Festival di Cannes del 1960, il film di Michelangelo Antonioni causò non poche controversie che lo consacrarono nell’olimpo dei nuovi registi emergenti. Il pubblico che vide il film rivoluzionario non seppero interpretarlo, come non ci riescono in molti tutt’oggi.

Claudia convince la sua amica Anna e il fidanzato Sandro a seguirla in un’avventura in barca verso alcune isole vicino alla Sicilia. Al loro arrivo, Anna litiga col compagno, scomparendo inaspettatamente e misteriosamente dalla sceneggiatura. I personaggi passano quindi molto tempo a cercarla, ma non si scopre mai che fine abbia fatto. Claudia e Sandro iniziano quindi una relazione appassionata dopo pochi giorni di conoscenza. Sfortunatamente, la loro storia finisce coi personaggi che si feriscono profondamente.

A chi servono le cose belle, Claudia, quanto durano? Una volta avevano i secoli davanti, oggi al massimo dieci, venti anni, e poi.

In molti accusarono Antonioni di aver fatto un film privo di contenuto, critica ragionevole ma che non contempla la realtà della vita, spesso priva di contenuto. L’Avventura altro non è che un film sulla distrazione dai fatti importanti: i protagonisti hanno sotto al naso un mistero che nemmeno Hitchcock si darebbe pace nel risolverlo, ma se ne dimenticano quasi subito.

Alla fine, anche la loro storia d’amore non sembra sufficiente ad attirare l’attenzione di Sandro e Antonioni sembra suggerire che in un mondo pieno di distrazioni, nessuna connessione umana è possibile, nonostante sia ciò che desideriamo di più. L’idea che tutti i nostri tentativi di relazioni significative non avranno successo è sufficiente per porre l’attenzione sulle cause di una delle crisi esistenziali simili a quella di Claudia.

Arancia Meccanica (1971), Stanley Kubrick

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Nella brillante interpretazione di Stanley Kubrick – di cui segnaliamo a questo link un’interessante analisi del suo essere umano – del romanzo di Anthony Burgess, il giovane delinquente Alex DeLarge diventa una vera e propria vittima del sistema che lui stesso sfidava. Il ragazzo è tutt’altro che innocente – i suoi interessi principali sono lo stupro, l’ultraviolenza e Beethoven – e quando viene arrestato per omicidio, tuttavia, subisce una procedura sperimentale per curare il suo cattivo comportamento.

Quel che segue è essenzialmente una sessione condizionamento classico in cui la propensione alla violenza di Alex viene minata da una nausea paralizzante. Quando la sua riabilitazione viene mostrata al pubblico, il cappellano della prigione contesta la privazione del libero arbitrio di cui Alex disponeva, ma il ministro promotore della Cura Ludovico ritiene l’amputazione un passaggio necessario per ridurre il crimine.

Ero guarito. Eccome!

Arancia Meccanica pone diverse domande sulla libertà e sull’identità. Persino i personaggi che affermano di preoccuparsi per Alex, finiscono per usarlo solo come una pedina utile ai loro scopi. La libertà di scelta di Alex gli è stata tolta in diversi modi, facendoci domandare se la nostra identità sia così malleabile da lasciare ad altri la decisione delle nostre scelte. Se quelli più in alto di noi volessero condizionarci ad agire a loro piacimento, potrebbero farlo? E se è così, siamo stati condizionati senza rendercene conto? Una delle cause di crisi esistenziali più classica non solo del cinema, ma anche della letteratura, come in 1984.

Blade Runner (1982), Ridley Scott

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La straordinaria fotografia e l’atmosfera unica di Blade Runner sono impressionanti, ma ciò che realmente rimane allo spettatore sono indubbiamente le domande – e le crisi esistenziali – dei suoi protagonisti, umani o replicanti. Rick Deckard è appunto un Blade Runner, un poliziotto specializzato nel rintracciare e uccidere i replicanti umani sfuggiti al controllo del sistema. Il suo ultimo incarico però lo mette di fronte al significato dell’essere umani ed ematici.

All’inizio del film Deckard fa visita alla Tyrell Corporation – produttrice di replicanti – e incontra Rachel, una replicante ignara della sua natura, convinta di essere la nipote di Tyrell. Questa rivelazione arriva in ritardo, poiché Deckard ha già iniziato a provare qualcosa di importante per lei e questo non gli permette di vedere distintamente le differenze tra i replicanti e gli umani.

Mentre prosegue la sua caccia ai robot umanoidi ribelli, ci rendiamo conto che ci stiamo preoccupando anche di loro e le loro uccisioni ci raccapricciano, mentre il loro desiderio è solo quello di poter trovare un modo per poter continuare a vivere nonostante la loro programmazione biologica abbia una durata prestabilita.

Ho visto cose che voi umani non potreste mai immaginarvi.

Al culmine del film il capo dei replicanti pronuncia il monologo più famoso della fantascienza, causando in Deckard una delle crisi esistenziali definitive, offuscando perfino allo spettatore la linea di demarcazione tra uomo e macchina. Blade Runner chiede cosa significhi veramente essere umani, abituati a ritenerci esseri superiori, ma cosa succede quando la nostra personalità può essere riprodotta? La nostra identità e la nostra esistenza rimangono ugualmente significative?

Fight Club (1999), David Fincher

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In questo film il protagonista – senza nome – vede la sua vita stravolgersi una volta incontrato il disinibito Tyler Durden. I due fondano un club di combattimento sotterraneo, dove gli uomini possono liberarsi dei loro colletti bianchi e ricorrere agli istinti arcaici dei nostri antenati. Creano così un’efficace contro-cultura che resiste al consumismo, finché le cose non sfuggono di mano a tutti.

E poi è successo qualcosa, mi lasciai andare perduto nell’oblio… oscuro, silenzioso, completo. Trovai la libertà, perdere ogni speranza era la libertà.

La mascolinità sfrenata di Tyler scatena una dilagante anarchia, sembrando un messia moderno, affermando che i nostri possedimenti effettivamente solo per farci credere che tutti noi possiamo diventare ricchi e famosi, come alla televisione. La soluzione di Tyler per disilludere tutti è quella che perdere ogni speranza significa essere liberi.

Mentre le filosofie di Tyler sembrano efficaci a parole e molti osservatori lo vedranno scalare fino al successo, la realtà è che un tale stile di vita può essere completamente distruttivo – ampiamente dimostrato dal finale inaspettato e sconvolgente. Tuttavia, dopo aver guardato Fight Club non potrai fare a meno di pensare che hai perso un sacco del tuo tempo andando al lavoro o acquistato l’ultimo oggetto di tendenza. Delle crisi esistenziali causate dal consumismo che più che deprimere va davvero arrabbiare e diventare dei piccoli ribelli.

American Beauty (1999), Sam Mendes

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Sam Mendes racconta la storia di Lester Burnham, un uomo sull’orlo dei cinquant’anni, che giunge al capolinea della sua esistenza come sottomesso della società grazie ad uno dei fattori scatenanti più pericolosi che possano incontrare un individuo, ossia il volersi sentire di nuovo giovani e senza limiti. Lester è un impiegato che conduce una vita ordinaria e senza ritmo affianco ad una moglie che non lo apprezza più di tanto e una figlia adolescente che non lo sopporta. Il tutto prende una piega inaspettata quando una ninfetta amica della figlia incontra Lester, che ne rimane fatalmente attratto e decide di mandare letteralmente all’aria ogni genere di vincolo al suo libero arbitrio.

Credo che dovrei essere piuttosto incazzato per quello che mi è successo, ma è difficile restare arrabbiati quando c’è così tanta bellezza nel mondo.

American Beauty è un capolavoro esistenziale dove le scelte di un uomo sembrano essere una nuotata controcorrente. Lester procede imperterrito nel suo autolesionismo, abbandonando il lavoro per una mansione in un fast food, facendo palestra per piacere alla ninfetta e comprando marijuana dal vicino di casa – figlio di un nazista omofobo – che instaura una relazione con la giovane Burnham. La vita di Lester sembra essere una risposta diretta della classica crisi di mezza età ma è qualcosa di più, sembra essere la ricerca estrema del senso della vita, soffocata dagli standard della società. Una ricerca estenuante condotta fino all’estremo.

Il vicino omofobo infatti crede che Lester abbia una relazione col figlio, e proprio quando Lester si accorge di aver sprecato tempo ed energie inseguendo un’infatuazione, perché aveva una famiglia preziosa affianco, gli pianta una pallottola in testa. Il senso del film è crudo e spoglio allo stesso tempo, le crisi esistenziali del protagonista accumunano ognuno di noi e ci fanno rendere conto di quanto tempo si sprechi alla ricerca di qualcosa di effimero e che non si possa rimanere troppo arrabbiati quando c’è così tanta bellezza nel mondo.

Upstream Color (2013), Shane Carruth

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Kris e Jeff sono due estranei che si trovano inspiegabilmente attratti l’uno dall’altro. In realtà sono entrambi affetti da uno strano parassita a cui sono stati esposti a causa di un’ampia cospirazione. Il parassita induce l’ospite ad essere piuttosto docili mentre vengono derubati. Sfortunatamente, il parassita sembra anche influenzare le loro menti e i due non hanno alcun ricordo di cosa fosse accaduto prima del contagio.

Ci sono due eserciti in avvicinamento: fame e stanchezza, ma un grande muro li tiene a bada.

I film di Shane Carruth sono dei labirinti di idee e Upstream Color ha un messaggio terrificante sull’invasione della propria identità. Dopo essere stati derubati, i parassiti che abitano Kris e Jeff si trasferiscono sui maiali e il benessere di questi animali ha un enorme impatto sulla vita dei protagonisti. L’orribile ordalia di essere infetto da un parassita ad essere derubati è solo l’inizio di un incubo, poiché la vita della coppia è apparentemente manipolata da altri individui perfino negli anni seguenti.

La spaventosa realtà del film prevede che le azioni e la percezione di una persona possano essere manipolate in modo sottile e a sua insaputa. Sebbene Jeff e Kris non abbiano il loro libero arbitrio, sono completamente all’oscuro del fatto e pone le crisi esistenziali come qualcosa di cui non puoi avere il controllo, perché non ne sei a conoscenza.

Into the Wild (2007), Sean Penn

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Il film racconta la vera storia di Christopher McCandless, che abbandona la sua vita di privilegi poco dopo essersi laureato alla Emory University. Piuttosto che entrare nel mondo del lavoro, Chris butta via tutti i suoi soldi e si imbarca in un viaggio in stile bohémien per gli Stati Uniti. Prende lavori disparati e interagisce con varie persone, ma alla fine decide di mettersi alla prova vivendo un’esistenza isolata nell’inverno dell’Alaska.

La storia di McCandless ha ricevuto tantissima attenzione, sia positiva che negativa. Sebbene le azioni di Chris sembrino istintive e irrazionali, sentire la sua serietà nel tentare un’esistenza onesta fa inevitabilmente sentire lo spettatore come se Chris sia parte di qualcosa di più grande. All’inizio è facile pensare al personaggio come ad un visionario, ma il ragazzo abbandona i suoi genitori per la ricerca della verità e vederli soffrire ci fa domandare se il ragazzo sia davvero consapevole delle proprie scelte.

L’essenza dello spirito dell’uomo sta nelle nuove esperienze.

Molti spettatori potrebbero sentirsi spinti a seguirlo nella natura, abbandonando il peso degli obblighi civili, ma quando il ragazzo si rende conto che potrebbe aver morso più di quanto riesca a masticare, anche lo spettatore capirà che la libertà e l’onestà che Chris si sforza di ottenere potrebbero essere irraggiungibili. Il film è un progetto per vivere un’esistenza onesta e disinibita per poi finire in un bagno di lacrime perché esso fallisce. Sembra esistenzialmente orribile perché assume uno stile di vita solo per farlo crollare, ma chiunque abbia bisogno di superare le crisi esistenziali non può non trovare in questo film uno spunto a sentirsi liberi e a sacrificare qualcosa di importante pur di esserlo.

Matrix (1999), Sorelle Wachowski

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Matrix ha iniettato la filosofia nel genere d’azione, rivoluzionando epicamente questo filone cinematografico per tutti i film a venire, come nel caso di Inception e Shutter Island. È stato l’unico film capace di far sedere vicini al cinema gli appassionati d’azione, i fan del cyberpunk e i filosofi, divenendo di fatto una parte dominante della nostra coscienza culturale.

Nel film, il programmatore Thomas “Neo” Anderson comincia a capire che la realtà attorno a lui non è poi così reale, avvertendo una specie di menzogna nel sistema. Scopre così di essere stato connesso ad una simulazione virtuale condivisa chiamata appunto Matrix, in cui le menti degli umani sono inconsapevolmente intrappolate dalle macchine, che nel mondo reale usano il corpo umano come fonte primaria di energia utile al loro sostentamento. Neo viene scollegato da Matrix e si unisce alla lotta per la liberazione dell’umanità.

La scelta. Il problema è la scelta.

L’idea di Matrix è una versione aggiornata dell’idea di cervello nella vasca di Gilbert Harman, in cui una coscienza non è consapevole di non avere un’esperienza fisica. L’orribile creazione della matrice è l’aver negato alle persone la visione del confine tra realtà e finzione. Ancor più inquietante, la realtà è una verità unica, inconfutabile o ad esserlo è solo ciò che percepisce il cervello? Un film che mette in discussione tutto ma che riesce a far superare qualsiasi crisi esistenziali grazie al suo messaggio intrinseco: la differenza la fanno le scelte.

The Truman Show (1998), Peter Weir

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Forse il film sulle crisi esistenziali più profondo e metaforico della nostra epoca, The Truman Show racconta la vita adulta di Truman, che è stato fatto nascere e crescere in uno studio televisivo gigantesco, venendo segretamente ripreso e trasmesso in mondovisione per tutta la vita. Paranoia e delusione – concetti per niente nuovi – da questo film in poi sono stati arricchiti dal fenomeno psicologico denominato The Truman Show Delusion.

Nel mondo digitale, è del tutto possibile trasmettere i propri pensieri a milioni di estranei, ma ciò che sembra essere terrificante nel film è che il personaggio non aveva idea di vivere in un mondo completamente fittizio. Alla fine, Truman intuisce qualcosa e cerca di scoprire la verità in modo repentino, rischiando la sua stessa vita e le vite degli altri in questo cammino di scoperta.

La possibilità che un uomo sia sorvegliato e messo in mostra per tutta la sua vita è profondamente inquietante, facendo sì che anche gli spettatori mettano in dubbio la realtà che li circonda. Il film si interroga se l’intera esistenza sia controllata e manipolata e se ciò la renda davvero meno reale, e se ognuno di noi volesse davvero scoprire se la nostra vita fosse un format televisivo. Tra tutti i film il più filosofico, ma senza dubbio quello che supera a pieni voti le crisi esistenziali con una delle più sottili battute finali di sempre.

Nel caso non vi rivedessi, buon pomeriggio buona sera e buonanotte.

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