La serie Amazon Prime de Il Signore degli Anelli ha – per citare Galadriel – una volontà sua. Amazon sembra saperlo, e per soddisfare le esigenze di una produzione milionaria, il prodotto di punta dello streamer ha necessariamente perso dei pezzi. The Man in the High Castle si presenta al pubblico nelle vesti di una conclusione che se da una parte dimostra la netta superiorità di sceneggiatori e produttori esecutivi di Amazon rispetto alla concorrenza, dall’altra parla chiaramente senza girarci troppo attorno: la terza stagione è stata costosissima e non ha vinto premi significativi, per l’ultima stagione ci dobbiamo accontentare – altrimenti Il Signore degli Anelli rischia di diventare un progetto gargantuesco. Un destino prevedibile, dal momento che già The Man in the High Castle 3 fungeva da progetto pilota per tastare la capacità di una super produzione Amazon nei premi maggiori, riscontrando però solo un grande attaccamento da parte del pubblico.
L’intrattenimento è un’industria basata sulle idee, il cui principale obiettivo è adattarle al meglio affinché generino profitti e un bilancio in positivo, va da sé che Amazon non poteva rischiare di dedicare a The Man in the High Castle un eccesso di attenzione, mantenendo però altissimo il livello visivo e drammatico, raggiungendo picchi emotivi degni delle migliori speranze che ci eravamo fatti su John Smith. Un bilancio che non ha voluto mancare di rispetto alla fanbase, come avvenuto nel caso di HBO e Game of Thrones, andando sì di fretta e togliendo qualcosa alla completezza dei passaggi, ma tenendo comunque alto l’hype e mostrandoci quelle vicende che prima o poi avremmo voluto vedere – o non vedere – dal grande valore educativo e filosofico – perché sfidiamo qualunque nostalgico o filo fanatico a non voler rinnegare i totalitarismi, anche di fronte alla maestosità dell’architettura nazista di questa ucronia fantascientifica.
The Man in the High Castle 4 fa sopratutto riflettere
Immaginando per un attimo The Man in the High Castle senza universi paralleli, perderebbe forse di peculiarità, ma non ci distoglierebbe dal valore educativo che in ogni caso manterrebbe, essendo di fatto una lotta interiore tra bene e male. Quel che invece esalta ancor di più questa didascalia e la rende una serie da incorniciare, è sopratutto l’elemento fantascientifico – per questioni filosofiche, piuttosto che visionarie. Le stagioni ci mettono costantemente a confronto con una versione alternativa e benigna dei protagonisti, tormentati dai fantasmi del passato e dalla consapevolezza che da qualche parte esiste la dimostrazione che l’alternativa era ed è possibile. Il dramma del nazionalsocialismo non viene condannato solo col finale di stagione, dove ognuno di noi rifiuta di voler vedere John a capo del Reich, ma bensì dalla rievocazione di un passato libero da dittatori e da un presente parallelo in cui ciò è ancora possibile.
È insopportabile. Attraversare quel portale, vedere le persone che potevi essere e sapere che è questa quella che sei diventato.
Se c’è quindi una cosa che The Man in the High Castle 4 riesce a fare a pieni voti, è di mettere al centro del paradosso la vera natura di John ed Helen Smith, cardini di una narrazione basata sulla costante incoerenza delle loro azioni e dei loro sentimenti, fomentata da un’identità americana e una fedeltà primordiale verso i figli. I loro doppi opposti, studiati da un’esperta Juliana, sono il riflesso di una consapevolezza che se da una parte fa sperare, dall’altra mette in guardia: chi hai di fronte è la versione alternativa, in un’altra dimensione, di qualcuno che conosci nel suo opposto; darai fiducia a questa persona, consapevole delle sue capacità benigne e maligne? Nel caso di questa trama, l’unica soluzione è capire come sfruttarle entrambe affinché il volere degli universi non venga soddisfatto, equilibrando ciò che i viaggiatori tra le dimensioni hanno sconvolto, creando una eco devastante negli effetti della struttura quadridimensionale della fisica.
Quel che ne esce in positivo, nella sceneggiatura – elemento che più di tutti commuove e che allo stesso tempo lascia l’amaro in bocca di The Man in the High Castle 4 – è la messa a disposizione di tutte le soluzioni e i soddisfacimenti dei desideri di John ed Helen, creando circostanze a lungo attese che spezzano letteralmente il cuore e ci fanno vivere appieno gli intrighi e i coinvolgimenti politici, familiari e ideologici di questa famiglia, comandata da un uomo distrutto e offuscato dagli effetti di un indottrinamento che ha esaltato le sue capacità strategiche e di gestione del potere, al punto di renderlo incapace di prendere la decisione giusta, ma solo capace di riconoscere la propria natura compromessa. Per quel che riguarda il completamento dei personaggi principali, quindi, la sceneggiatura della quarta stagione dovrebbe prendere il massimo dei voti, se non fosse per la gestione degli eventi, alcuni dei quali accadono troppo in fretta e superficialmente.
Dove eccelle e dove delude
The Man in the High Castle 4 eccelle e in maniera stagliante nell’approfondimento dei personaggi, del loro coinvolgimento nelle dinamiche ideologiche e sentimentali, in particolar modo nei casi di John, Helen, Childan e Kido – quest’ultimo elevato a qualcosa di molto più terreno di Smith, essendo la raffigurazione umana dell’Impero Giapponese, che a differenza del Reich – e di John – giunge alla fine di questa serie arrendendosi all’evidenza che attraverso la forza si ottiene solo il desiderio di redenzione – lo stesso che prova Kido, delineato alla perfezione, ma concluso sommariamente, quasi come se fosse pronto per uno spin-off. Le altre eccellenze della stagione sono una scenografia così monumentale e dettagliata da sembrare un documentario, una fotografia da grande cinema – che dipinge i chiaroscuri di John come un film espressionista tedesco – e una regia magistrale, che rispetta ogni regola grammaticale del cinema e non rinuncia comunque a stupire con movimenti di camera, tagli e giochi di luce sperimentali.
Questi due imperi per i quali combattiamo, sono poco più che castelli di sabbia. Solo le onde sono eterne.
Gli elementi in cui invece delude sono meno, ma cruciali ai fini di una conclusione che, al netto delle aspettative, sarebbe dovuta essere a dir poco epica. Sin dal primo episodio gli sceneggiatori ci pongono di fronte un compromesso da accettare a malincuore: i ritmi lenti e riflessivi delle stagioni precedenti non possono essere rispettati, dobbiamo andare veloci e coniugare le vostre aspettative con la fretta di concludere – perché Il Signore degli Anelli costa troppo. Il risultato complessivo è comunque un finale che non manca di rispettare alcune aspettative, come la forza visiva, gli intrighi e la messa in scena di dinamiche sentimentali tanto attese, ma è un compromesso che fa rimpiangere la mancanza di qualche episodio in più, se non addirittura di una quinta stagione.
Arriviamo all’ultimo episodio con tutti i cerchi principali giunti alla loro chiusura, ma è una chiusura accelerata, basata su pretesti sì plausibili, ma non tra i più validi; nei casi peggiori, come quelli dei personaggi secondari, i loro percorsi vengono addirittura lasciati incompleti o troppo aperti, nonostante ognuno di loro sia fondamentale per la conclusione della serie. Sembra un vizio comune alle grandi produzioni degli ultimi anni: quando il gioco si fa duro, la soluzione non è giocare, ma trovare il modo di andare più veloci, perché a comandare sono i soldi e i premi internazionali non vinti. Nel caso di The Man in the High Castle 4, questa regola ha causato un finale di stagione pieno di elementi coerenti e plausibili, che però patiscono la mancanza di precedenti esaustivi. Resteremo in attesa dei premi internazionali – che almeno nel caso degli attori, meriterebbero di essere vinti – e dei progetti futuri. Quel che sappiamo, è che se l’universo di The Man in the High Castle è da considerarsi concluso, non è avvenuto al meglio delle sue possibilità.
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Riassunto
The Man in the High Castle si presenta al pubblico nelle vesti di una conclusione che se da una parte dimostra la netta superiorità di Amazon rispetto alla concorrenza, dall’altra parla chiaramente senza girarci troppo attorno: i mancati riconoscimenti della terza stagione e il costo de Il Signore degli Anelli ci impongono di chiudere in fretta. La serie non ha avuto un eccesso di attenzione, mantenendo però altissimo il livello visivo e drammatico, raggiungendo picchi emotivi degni delle migliori speranze che ci eravamo fatti su John Smith. Un bilancio che non ha voluto mancare di rispetto alla fanbase, andando sì di fretta e togliendo qualcosa alla completezza dei passaggi, ma tenendo comunque alto l’hype e mostrandoci quelle vicende che prima o poi avremmo voluto vedere, dal grande valore educativo e filosofico. Le eccellenze della stagione sono una scenografia così monumentale e dettagliata da sembrare un documentario, una fotografia da grande cinema, una regia magistrale, che rispetta ogni regola grammaticale del cinema e non rinuncia comunque a stupire con movimenti di camera, tagli e giochi di luce sperimentali, e sopratutto una perfetta delineazione completa dei personaggi. Il risultato complessivo è quindi un compromesso che fa rimpiangere la mancanza di qualche episodio in più, se non addirittura di una quinta stagione.